Abbiamo iniziato questo scambio in redazione, abbiamo ritenuto poi fosse interessante per tutti i nostri lettori, quindi abbiamo deciso di condividerlo e pubblicarlo qui. Forse la prima parte potrà sembrarvi capziosa, o comunque difficile da seguire a tratti, ma è per noi prassi analizzare molto a fondo ogni testo di cui facciamo una lettura prima di decidere se è il caso o no di parlarne sul sito, chiederci se è un testo che sia influenzato dalla cosidetta pedagogia nera o no, e, in ogni caso, se a lettura finita, a conti fatti, lo riteniamo un testo che ci ha lasciato qualcosa, che possa aiutare altri genitori, che possa essere uno dei tanti tasselli che aiutano tutti noi a crescere come esseri umani prima e genitori di conseguenza.
Con quest'ottica va letto questo topic nei suoi primi interventi, chiaramente ogni utente deve sentirsi a proprio agio nell'esprimere un punto di vista meno "tecnico", impressioni o altro sul suddetto testo, lo scopo del forum è condividere e confrontarsi, non di fare accademia

Buona lettura
Seguendo un suggerimento di Giulia (confortato dall'ottimo ricordo che mi è rimasto della lettura di "Il bambino è competente") ho acquistato e iniziato a leggere "Eccomi! Tu chi sei? Limiti, vicinanza, rispetto tra adulti e bambini" di Jesper Juul (Feltrinelli).
Dopo la lettura delle prime venti pagine ero convinta di aver trovato proprio il libro che cercavo in questo momento, un nuovo libro di cui condividevo pienamente il contenuto. Sto cercando infatti il libro giusto da regalare a mio fratello e sua moglie, il cui bimbo devrebbe nascere a novembre, ma insieme sono sempre alla ricerca in primo luogo di chi mi aiuti in prima persona a capire come comportarmi al meglio con il mio bambino e con il suo imminente fratello.
Proseguendo la lettura però il senso di adesione al discorso di Juul si è qua e là interrotto: mi sono trovata di fronte a situazioni da lui descritte che io non avrei mai risolto nel modo da lui suggerito.
Il punto di partenza di tutto il libro è che "nel rapporto fra adulti e bambini gli unici responsabili della qualità dello scambio reciproco sono gli adulti" (p. 20). Attribuire ai bambini la colpa delle difficoltà e del fallimento di questo rapporto è "non solo irresponsabile, ma anche poco etico, perché compromette la loro capacità di affrontare l'esistenza" (p.21).
Niente di più vero e condivisibile, vi pare? Ma nonostante questo, nel momento in cui l'autore comincia a fare degli esempi pratici di come comportarsi con i bambini (soprattutto con quelli piccoli), fornisce delle soluzioni secondo me a volte insoddisfacenti e che non condivido. Va detto che, in apertura di libro, ha la correttezza di introdurre ciò che segue come una sua proposta e non come regola generalmente valida. E' questo un atteggiamento costante nelle sue opere: quello che sempre mi è parso si sforzasse di fare è spiegare in modo molto lucido e onesto i meccanismi che regolano certi comportamenti e attribuire le giuste responsabilità, tenendo in linea di principio fermo il rispetto dei bambini e dei loro spazi di crescita.
Parlando di una bimba di un anno e mezzo che ha preso l'abitudine di sedersi davanti al frigorifero e pretendere il gelato, Juul suggerisce al padre, che non riesce a spiegarle con le migliori intenzioni il suo motivo di rifiuto (fra poco si va a tavola, non è il momento, ti passa la fame), di fornire alla bambina per due volte le proprie motivazioni con simpatia, poi di interrompere il contatto e lasciarla nella stanza e fare dell'altro. La bambina insisterà, probabilmente piangerà, ma in questo modo sentirà "l'autorità personale" del padre e alla fine non ne verrà sminuita. Se il padre fosse rimasto lì a continuare a spiegarle senza esiti il suo punto di vista, avrebbe cominciato a irritarsi, a sentire l'insuccesso dei sui buoni propositi di educatore, a sentirsi insicuro di sé e tutti questi sentimenti, che sono al di sopra della capacità di comprensione della figlia, sarebbero stati da lei percepiti: una responsabilità troppo grande tanto per comprenderli, quanto per sopportarli (la figlia a un certo punto avrebbe dovuto gestire la sensazione di essere la causa del malessere del padre).
Trovo giuste queste ultime spiegazioni: i sentimenti di insicurezza e di fastidio del genitore non dovrebbero riversarsi sulla bambina e certo lei non può non percepirli. La situazione è quindi davvero onerosa per entrambe le parti e va risolta. Ma come?
Al posto del gelato possiamo mettere quello che vogliamo: un qualsiasi oggetto visto in un negozio e preteso, il desiderio di fare qualcosa che non possiamo o vogliamo assecondare. Credo sia un problema che ciascuno di noi si trova di fronte quotidianamente. Tutti noi finiamo per porre dei limiti o per rimuoverli, più o meno soddisfatti di volta in volta di averlo fatto.
Partiamo allora dal caso di Juul. Che cosa avrei fatto io? Avrei negato il gelato. Questo perché sono molto accorta nell'alimentazione di mio figlio per vari motivi e tengo molto al fatto che mangi cose sane e nutrienti. E' la mia posizione. Di conseguenza il gelato non gliel'ho nemmeno fatto conoscere, come la cioccolata, e ovviamente i cibi confezionati per l'infanzia. Non li mangio neppure io, a casa non ci sono. Ha tutta la vita per mangiare quello che vuole, ora che è piccolo mi assumo io la responsabilità di scegliere quali limiti imporre alla sua alimentazione ed evito i motivi di frustrazione. Credo sia più facile per tutti e due. Ma, se invece mi trovassi di fronte al problema di negargli il gelato come antipasto, credo che, dopo aver spiegato il mio punto di vista, invece di lascarlo solo con la sua richiesta inascoltata, me lo porterei via dalla stanza e proverei a fare dell'altro, ribadendo la mia decisione con calma se fosse ancora necessario, e accettando che la mia scelta provochi in lui rabbia o fastidio. Gli imporrei insomma la mia volontà, ma non la mia disapprovazione, né tantomeno la sensazione di ritrovarsi solo con i suoi desideri frustrati. E insieme cercherei di non caricare l'episodio di significati sottintesi, tipo il mio fallimento di educatrice, visto che lui non capisce le mie ragioni, né ascolta il mio punto di vista come indiscutibile.
Troverei però impraticabile per me e dal mio punto di vista sbagliato dargli il gelato per non farlo piangere, dal momento che trovo in tutta coscienza sbagliato che lui lo mangi. E questo vale per le poche cose che mi sembra di negargli nella nostra vita di tutti i giorni. Ci sono ragioni a cui non sono disposta a rinunciare, neppure se questo significa imporgli le mie scelte e la conseguente frustrazione.
Insomma, pongo dei limiti e sono convinta di doverlo fare. Quanto questo è sbagliato, quanto ammissibile? Ho avuto in sorte un bimbo piuttosto ragionevole (dico così in modo un po' grossolano, visto che sono convinta che i bambini siano per principio ragionevoli). Abbiamo di rado motivi di disaccordo: in genere quando chiede qualcosa mi trovo d'accordo con lui e acconsento volentieri, se non è così, il più delle volte le spiegazioni che unisco al mio rifiuto sono sufficienti a sbrigare la faccenda. Cerco di prevenire e ridurre le situazioni spinose e di considerare sempre le sue ragioni come altrettanto valide che le mie. Questo non toglie che poi a decidere resto io, che, se non concordo con lui per motivi che sento particolarmente buoni, io gli proibisca di fare quello che mi chiede.
Il rischio (dopo aver letto la Miller nessuno può nasconderselo) è quello di farne un bambino dotato. E il dubbio che la sua ragionevolezza dipenda dalla "dotatura" che già in questi 2 anni e 9 mesi sono riuscita a dargli ovviamente mi visita in certi momenti.
Credo che questo dei limiti sia un problema molto importante in tanti sensi. Riguarda anche i nostri tentativi di soccorrere altri genitori nella comprensione dei loro figli: non possiamo non tener conto del fatto che i loro problemi dipendono anche dalle loro possibilità e capacità di rimuovere o spostare i limiti che pongono al comportamento dei loro bambini, e che non possiamo pretendere da tutti di abbracciare all'istante le nostre soluzioni, che a volte sarà la nostra capacità di accettare certi compromessi a decidere del tipo di contatto che riusciremo ad allacciare con loro.
Mi piacerebbe molto discuterne insieme, magari con qualche esempio pratico alla mano. Sono sicura che mi aiuterebbe molto.
Ciao