da Mirco » giovedì 20 ottobre 2016, 19:44
Esatto, quello che cercavo di dire era proprio quello. Il fatto che mi ricordo bene che a volte cercavo un pretesto. Per questo ho pensato ad una coazione a ripetere. In casa mia i rapporti con i miei sono prevalentemente di facciata e impostati sul senso del dovere. Non mi ricordo di aver mai parlato di sentimenti, di sofferenze e quando capitava ero io a farmi un problema, perché dovevo mostrare la facciata di bambino cresciuto bene, solare, senza debolezze (e molto altro). Ogni volta che stavo male la colpa era mia o ero io che mi facevo il problema. Mia madre si comportava così e la gran parte delle volte mio padre stava a guardare. Poi io mi arrabbiavo e mio padre dava torto a me e difendeva mia madre. Mio padre non mi ha mai difeso da lei. Ero costretto a farmi maltrattare pesantemente, perché lui cominciasse a dirle qualcosa ma era sempre in tono accondiscentente, tipo "dai, adesso basta..." mentre io se osavo alzare la voce con me aveva un comportamento ben diverso. Mi ricordo ancora di un giorno che non potendone più le ho risposto con un insulto e lui mi ha fatto un urlo che non so nemmeno da dove uscisse. Anche se sto male faccio finta di niente per non essere invaso perché loro credono di dover intervenire su di me. Sto cercando di risolvere i miei problemi da solo ma allo stesso tempo sento che ho bisogno di qualcuno con cui parlare e che è in grado di accettare quello che dico, senza che io debba cercare di convincerlo di quello che dico o di farmi credere o trovare prove a sostegno. Ho capito alla fine che non c'è prova che sia valida per chi non è disposto ad accogliere la verità, perciò me ne sono fatto una ragione e le cose vanno avanti così. Non c'è cosa peggiore per me di non essere creduto, preso sul serio. Ho dubitato della mia verità fino a che non ho letto Alice Miller. Dopo aver letto i suoi libri, aver trovato finalmente una persona che mi diceva che quello che sentivo era vero e aver passato un periodo di tempo abbastanza lungo in cui cercavo disperatamente di convincere i miei genitori che quello che dicevo era vero e gli portavo delle prove loro mettevano in dubbio a priori il suo pensiero e mi dicevano e mi dicono ancora "e questa chi è? Cos'ha la verità? E' solo una sua opinione! Non credere al primo che passa!". Questo ovviamente senza aver studiato nulla e dopo ripetuti miei incitamenti a leggere i suoi libri. Dopo un lungo periodo di rabbia ho finito per accettare il fatto che se loro non vogliono risolvere i loro problemi personali che facciano come gli pare. Ho rinunciato a parlare perché a casa mia tutto è finto, meccanizzato, ripetitivo, non deve cambiare nulla e se succede deve avvenire molto lentamente perché sennò chissà cosa succede... non ho mai sentito i miei genitori come sono realmente perché prendono le distanze da sé stessi e quindi da me. Non so che sofferenze hanno dentro perché con me non ne hanno mai parlato. Mio padre è un uomo chiuso, distante e anche se mi ricordo le volte che giocava con noi da bambini altro non so dire su di lui. Mia madre è priva di empatia, come se temesse i rapporti umani, è rigida, autoritaria e contemporaneamente insicura all'eccesso, e anche altre cose. Ha problemi irrisolti con i rispettivi genitori (che la maltrattavano ma che lei ancora salva) e riversa la sua rabbia e il suo odio sulla famiglia. Io sono cresciuto sotto le sue provocazioni, sotto il suo terrore e le sue perversioni, alternate a qualche sporadica giornata in cui tutto sembrava cambiato e invece naturalmente non cambiava e non cambia mai nulla. Le volte che c'è lei a cena (ma anche negli altri momenti della giornata) di solito litighiamo tutti contro tutti e di solito è lei che fomenta. Se sei neutro cerca di tirarti dentro la lite. Se c'è mio padre soltanto di solito si sta tutti zitti e questo non è che mi turbi molto, ma per mantenere le apparenze, quando ci si sforza di parlare assieme di solito ci si innervosisce e si litiga e ognuno cerca di imporre la propria ragione, così spesso sto in silenzio, mangio con la rabbia e me ne vado in camera. E' lo stesso copione tutti i giorni. Mi ricordo che da piccolo venivo portato a forza nei posti che loro avevano scelto. Odiavo le domeniche e le feste perché bisognava andare da qualche parte o stare coi parenti, oppure andare in viaggio. Di solito i giorni dopo le feste mi veniva la febbre o il virus intestinale. Durante i viaggi vomitavo sempre. Non dò interpretazioni di questi fenomeni perché penso che possiate capire quale fosse il motivo. Di solito i miei litigano, soprattutto a tavola c'è sempre un'atmosfera di invettive, insulti, disprezzi, rabbie personali ma nonostante tutto va bene così. Sembrano svuotati, mantengono le apparenze e la loro vita va avanti così, anche se è triste non vogliono accorgersene o preferiscono andare avanti facendo finta che tutto va bene e che non c'è nessun problema. D'altra parte io ho smesso di cercare di convincerli che non è vero dato che non posso fare altrimenti e perché prima sono io ad aver bisogno. Prima vengo io. Credo di essere stato il loro bidone perché mi sentivo rifiutato (questo ci ho messo molto ad ammetterlo e ancora oggi fatico ad accettarlo), scartato, messo da parte. Mi ricordo che mi sentivo sempre solo. Mi ricordo che ero pieno di odio per l'impotenza e mi ricordo che piangevo di nascosto la sera, quando mi alzavo dal tavolo dopo che per l'ennesima volta ero stato coinvolto in un litigio e andavo in camera mia. Avevo spesso l'influenza, vomito, diarrea ecc e per lungo tempo ho creduto fossero frutto del caso. Oggi posso dimostrare che l'origine di tutti quei disturbi erano i rapporti malati con i miei genitori (soprattutto con mia madre) per questo è stata una motivazione in più a farmi decidere per il distacco affettivo. Oggi, ogni volta che provo a riallacciare i rapporti con loro, come con chiunque altro che gli somiglia, la mia reazione corporea è immediata. Oggi sono consapevole di quello che mi accade dentro e posso evitare di stare male di nuovo ma i momenti terribili che ho vissuto li ho ancora impressi in mente. Mi ricordo che mia madre non sopportava di non vedermi lavorare, produrre, di non fare niente e mi minacciava dicendomi che mi sarebbe arrivata la lettera del militare e che mi avrebbero messo in riga, alludendo ai maltrattamenti, alle punizioni e soprattutto alle umiliazioni ben conosciute in quegli ambienti. CI godeva a vedermi sottomesso con la paura e le umiliazioni e credo che non fosse altro che odio. Avevo un mondo tutto mio in cui credevo sarei stato felice per sempre e in cui nessuno avrebbe mai potuto venirmi a prendere. Mi ci sono rifugiato per oltre quindici anni e di conseguenza ho perduto molto tempo per crescere come sarebbe stato mio diritto. Ho avuto paura del mondo per un periodo di tempo molto lungo e alla fine sono accadute delle cose che hanno iniziato a farmi riflettere. Poi ho scoperto Alice Miller e le cose sono cambiate perché improvvisamente ho sentito che tutto quello che avevo dentro era vero e che non avevo più bisogno di negarlo. Ora sto cercando di fare passi avanti e di recuperare non dico il tempo perduto (che non si può recuperare) ma almeno la dignità e una vita dignitosa. Non posso dire che non odio i miei genitori per quello che mi hanno fatto ma al momento verso di loro sento la mia più totale indifferenza che credo sia sia sviluppata dopo quest'odio prolungato e non mi sento più colpevole dei loro atti. La mia vita sta ricominciando solo ora a rialzarsi ed è solo perché ho avuto fortuna, altrimenti chissà chi sarei adesso. Non mi viene più da piangere, non so se è un male ma non piango da un'infinità di tempo. A volte credo sia una reazione di rifiuto, altre volte ho paura di non avere sentimenti. Ma il più delle volte l'indifferenza predomina sul mio stato generale. Mi vergogno molto delle crudeltà e delle perversioni sepolte dentro di me, anche se so non essere mie. Sento spesso di essere una persona di merda, che nessuno vorrà, che non interesserà a nessuno, la cui esistenza non ha utilità. Erano le cose che mi diceva sempre mia mamma quando ero piccolo e se non facevo quello che a lei stava bene; credo di avere imparato molto presto a sentirmi così.
Tutto sommato non ho la minima idea di cosa pensino di me attualmente. Forse si domandano qualcosa ma ho imparato a fregarmene. Io so di avere diritto a sentirmi come mi sento nei loro confronti. Loro credono più al telegiornale che a me. Per loro io sono solo un idiota che dà problemi e che non funziona. Io sono un ingranaggio rotto del loro sistema, non credo ad altro sinceramente, non credo che a loro interessi la verità. Dentro di me sento che non mi interessa nulla, non so se è un male. Per me hanno continuano a fregarsene come hanno sempre fatto. Non li ho mai visti leggere i libri che gli ho consigliato, credo che pensino ancora che sia io il problema. Ripeto: non è un discorso di uno che fa le cose apposta. Per me è il modo migliore per difendermi in questo momento perché non ho più intenzione di prendere parte alla recita. Ho molta sfiducia verso gli altri, le mie relazioni sono compromesse e faccio fatica ad avere un approccio con una donna senza pensare che voglia usarmi, manipolarmi, fregarmi in qualche modo e credo che questo influirà pesantemente sulla mia vita sentimentale, anche se ci sto lavorando su. Per quanto riguarda gli uomini le cose vanno un pochino meglio ma non si discostano molto. DI fatto non ho molta fiducia negli altri. Da un lato questo mi avvantaggia nei confronti dei malintenzionati ma dall'altro mi penalizza nei confronti delle persone amorevoli. Ultimamente ho imparato a riconoscere meglio le persone di cui posso fidarmi ma ancora devo fare esperienze e non credo di avere tutto il tempo di questo mondo. Spero almeno di trovare una donna che mi sia amica e un lavoro. Non so cos'altro dire. A volte vorrei avere un bambino per potergli dare un po' d'amore ma poi ricordo chi sono e tutto mi passa perché non vorrei mai rifargli quello che ho subìto e delle volte provo un senso di disperazione pensando che nel mondo forse la donna che cerco non esiste e mi devo adattare a una che in fondo non mi interessa. Ma io non voglio e non lo vorrò mai. Meglio solo, mi dico