Ciao Nicotiana
Il tuo post e le risposte che hai ricevuto, in particolare quella di Silvia, mi hanno toccata. Anche io devo fare i conti con un'energia molto altalenante.
Due riflessioni...
... sullo sforzarsi: come è difficile trovare quell'equilibrio tra l'accettare il malstare (ricordandoci che stiamo dando il massimo, abbassando l'asticella delle aspettative) ed il provare a reagire (sforzandoci). Entrambi gli aspetti sono importanti: da un lato riconoscere che non è solo una questione di volontà e apprezzare tutto quello che - nonostante le difficoltà - riusciamo a dare, dall'altro prestare ascolto a quella vocina interiore (forse quella della vita) che ci esorta a non abbandonarci alla negatività, che è un vortice tremendo, ed a tentare ancora qualcosa. In genere, quando riesco a sentire questa vocina, ne esce sempre qualcosa di buono. Ad esempio quando riesco ad uscire di casa, magari a fatica, coi capelli spettinati o la giacca sbagliata, e cammino con il piccolo: è come se la città mi aiutasse ad accudire il bambino perché cattura il suo interesse - bastano un cantiere, il fiume, un cortile mai visto - ed io sull'onda del suo interesse trovo parole, storie, pensieri, canzoni che a casa non mi verrebbero.
... sulla paura che i nostri bambini ne risentano. Anche io mi preoccupo. Ma credo che sia possibile far passare loro, anche nel malessere, la sensazione che non dipende da loro, che noi li amiamo comunque, che sono preziosi per noi. Con qualche gesto affettuoso, con tanti "ti voglio bene", con "la mamma non sta bene, ma tu sei comunque il mio cucciolino caro". Io lo spero davvero! Qualche tempo fa ho letto una recensione del libro autobiografico di Paul Auster
Diario d'inverno, da cui usciva un ritratto molto bello di sua madre, una donna che aveva sposato l'uomo sbagliato, era afflitta da attacchi di panico e neurosi, ma allo stesso tempo aveva saputo dare tutto il bene possibile a suo figlio. Riporto un passaggio, traducendolo, purtroppo, dalla traduzione tedesca (spero che rimanga qualcosa dell'originale americano!), l'autore si rivolge a se stesso in seconda persona: "sei colui che della sua infelicità ne ha tratto i benefici [...], nella tua primissima infanzia è stata per te una madre appassionata e dedita, e ogni cosa che di buono ci possa essere in te oggi, ogni punto di forza tu possa avere, tutto questo ha origine in quel tempo prima che tu possa ricordare chi eri". Quanto conforto - e magari confronto - danno queste parole...
Un abbraccio, Lilia