da FranTam » martedì 2 settembre 2014, 11:25
La nascita. 9 mesi in cui segui con trepidazione ogni cambiamento nel tuo corpo, sperando sempre che tutto vada bene.
Aspetti con ansia la prossima ecografica, per vedere se il tuo piccolo cresce bene e sano. Fai di tutto per proteggere quella piccola vita che prende forma e cresce dentro di te, lui è lì con te e tu, nel limite di quello che puoi fare, fai tutto il possibile per assicurargli le migliori condizioni, per poter arrivare al tanto sospirato momento in cui potrai vederlo e stringerlo tra le tue braccia.
Il pancione è un luogo sicuro, protetto.
La naturale conclusione è il parto, la conoscenza di quell’esserino che hai visto, eco dopo eco, e sentito muoversi e cominciare a vivere dentro di te.
Ed altrettanto naturale è continuare a prenderti cura di lui appena uscito dall’ambiente confortante del pancione, allattarlo, scaldarlo, parlargli dolcemente stringendolo a te, dormire con lui.
La durezza della vita si manifesta con la difficoltà della nascita, non è una passeggiata per nessuno, ma che sicurezza potersi rifugiare tra le braccia di qualcuno di cui conosci così bene l’odore, sentire il battito del cuore che ti ha accompagnato e vegliato da che hai memoria, ascoltare il suono familiare della voce che da sempre ti ha parlato e che ha cantato per te, essere nutrito con un alimento creato apposta per te, poggiando la tua bocca su qualcosa di morbido e caldo e su cui, ancora, ritrovi l’odore familiare, addormentarsi al sicuro, al caldo, tra le braccia accoglienti di chi ti ama da quando esisti.
E che meraviglia essere l’olfatto, il gusto, il tatto, il suono e la visione di quell’essere tanto atteso, che soddisfazione proseguire con l’accudimento fuori dal pancione, tanta fatica è vero, ma che meraviglia.
Non so trovare pace per quello che ci è mancato, so che questo non mi permette di proseguire serena e ho bisogno di parlarne.
Per me sapere che il mio utero, la casa calda accogliente e confortante del mio piccolo, nelle ultime ore, o forse giorni, si era trasformato in una minaccia, in un luogo pericoloso e fonte di sofferenza è fonte di terrore e se lo sento io, per lui cosa deve essere stato?
Non bastasse la mia creatura è stata “scoperta” all’improvviso, portata fuori in una condizione già di sofferenza, ha sentito la mia voce un’unica volta, ha ricevuto il mio bacio e poi…e poi?
Non so dire che sofferenza ho dentro per come sono andate le cose, proprio non lo so.
Francesco ha udito voci e sentito mani estranee che lo toccavano, che gli inserivano aghi nel braccio, ha conosciuto i cuscini della culla in terapia intensiva che per quanto confortevoli non hanno il mio odore, non hanno il calore delle mie braccia, al posto del battito del mio cuore ha sentito il bip delle macchine che controllavano la saturazione e il flusso dell’antibiotico che iniettavano tramite flebo, si è nutrito tramite i biberon con “fredde” tettarelle di silicone.
Per 6 lunghi giorni.
Mi piace immaginare che il suo conforto fosse sentire la voce conosciuta del papà, che era l’unico a poter stare con lui in quei giorni.
E io…io mi sono ritrovata in un letto, senza potermi alzare per i dolori assurdi che avevo all’addome, guardata con fastidio dalle ostetriche, sentendomi una chiavica perché la mia compagna di stanza era già in ripresa e aveva la sua bambina con sé, mentre quando io ho provato ad alzarmi a momenti casco per terra.
E quando, dopo un giorno e mezzo mi sveglio e mi sembra che vada meglio, arriva il primario a dirmi che devono fare dei controlli e che devono farmi una trasfusione. Mi credete che non capivo?
Dopo l’eco mi dicono che devono operarmi di urgenza, che ci sono dei coaguli e che rischio di perdere l’utero.
Ma cosa succede? Perché nessuno mi dice che ho un’emorragia?
Io capisco solo che sono in pericolo, che un altro intervento mi terrà lontana da Francesco ancora, lui che sta lottando in terapia intensiva.
Non ho scelta e così sono di nuovo in sala operatoria. Appena mi sveglio qualcuno mi dice “hai ancora l’utero”, ma io non sto bene, mi manca l’aria e sono confusa.
Dopo qualche ora mi portano in rianimazione, ma non riescono nemmeno a trasferirmi sul letto che sento qualcuno che dice “non tiene, non tiene” e sento delle mani che frugano e fanno male e reagisco, mi dimeno, “ma che cazzo deve succedere ancora?”, lo grido questa volta. Cosa succede? Di nuovo in sala operatoria, raschiamento e, se l’emorragia non si ferma nel giro di qualche ora, un altro intervento per rimuovere l’utero.
Io non so se il mio fisico reggerà, non so se questo incubo finirà, non so se riuscirò ad abbracciare mio figlio.
Per fortuna l’emorragia si arresta, ma io rimango lì altri tre giorni e mezzo, durante i quali vedo Francesco in foto o nei video che il mio compagno gli faceva per mostrarmelo. La prima foto in cui ho visto dal suo viso che stava meglio...che sollievo vederlo finalmente roseo, e il mio cuore ha sentito che ce l’avrebbe fatta.
Ci siamo rivisti il 6 agosto, quando lui è uscito dalla terapia intensiva ed io dalla rianimazione.
Ho pianto prima che me lo portassero, ero con mia mamma e ricordo che avevo una gran paura che lui non mi riconoscesse, che in qualche modo fosse arrabbiato con me.
E finalmente ho potuto tenerlo accanto a me, anche se avevo paura di fargli del male con il catetere venoso che avevo sul braccio, ma non potevo allattarlo per via degli antibiotici. E sapete l’odore che ho sentito sul mio cucciolo quale è stato? Quello dell’antibiotico che gli ha salvato la vita.
Le prime notti l’ho riportato al nido, non ero proprio in grado di muovermi in modo decente, un po’ per gli interventi e i giorni di letto (mamma mia che dura riprendersi), un po’ perché avevo il terrore che muovendomi male avrei potuto procurarmi una nuova emorragia, purtroppo nessuno mi rassicurava su questo, io cercavo risposte sicure e non ho contato quante volte mi hanno risposto che la medicina non è una scienza esatta!
Per ora mi fermo qui, sono esausta, grazie a chi ha avuto la pazienza di leggermi.