COSA VUOL DIRE "ABITARE LA MENZOGNA"? (
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Nella casa della menzogna vige la legge del più forte: c’è omertà, familismo, squilibrio di potere. La famiglia fa quadrato attorno ai suoi segreti e nulla trapela al di fuori delle mura di casa. E’ un’omertà che nasce dalla vergogna, alla quale sono costretti non solo i bambini maltrattati, ma persino gli adolescenti ribelli, che detestano i genitori, ma non fanno trapelare al di fuori i problemi familiari.
I panni sporchi si lavano in famiglia.
Chi si accosta al libro, leggendo sulla IV di copertina “la violenza dei genitori”, può pensare alla madre assassina o al padre pedofilo, ai mostri. Non viene in mente la violenza quotidiana fisica e psicologica dei genitori.
Quella è considerata legittima!
Abitare la menzogna non tratta di mostri - anche se è tra questi testi che è catalogato, in libreria o su internet - racconta solo un orrore quotidiano.
Il genitore ha il dominio assoluto sul suo bambino inerme.
Tranquillamente, impunemente, può mortificarlo, umiliarlo, insultarlo, picchiarlo, svalutarlo sistematicamente, ricattarlo, così come disprezzarlo, prevaricarlo, deriderlo, perseguitarlo, oppure manipolarlo con dinamiche perverse.
Sono comportamenti frequenti che passano inosservati persino nelle “migliori famiglie” e vengono considerati un giusto modo di tirar su un bambino. E sono attuati per “non dargliela vinta”, rivelando anche nella scelta delle parole, la motivazione profonda del genitore: il gioco di potere.
Nel mondo animale il potere è relegato al controllo del territorio, alla dominanza sessuale, mai al rapporto con i cuccioli. La madre animale li difende anche a costo della propria vita, ma appena diventano autonomi, li lascia andare senza pretendere nulla in cambio.
Nella famiglia umana il figlio è l’estensione del genitore: anche quando divenuto adulto, non deve risarcirlo prendendosi materialmente cura di lui, è comunque obbligato a dargli soddisfazione con il proprio successo professionale.
Come se la vita non gli appartenesse.
Talvolta il genitore pretende riconoscenza dal figlio non solo per averlo allevato e curato, ma anche per averlo messo al mondo. Proprio come se fosse un dio, pretende di aver elargito il dono della vita. E poiché la vita ha un valore inestimabile, il prezzo che il figlio dovrà pagare sarà immenso e qualunque cosa faccia, non riuscirà mai a colmare l’enorme debito.
E’ una retorica antica quanto l’uomo, quella della vita come dono, dell’amore incondizionato dei genitori, dei loro sacrifici, dell’infanzia come periodo felice e del debito di eterna riconoscenza dei figli.
E’ una perversa ideologia: il bambino perseguitato viene convinto dai genitori di meritare le punizioni perché realmente “cattivo” e ogni violenza fisica o psicologica gli viene somministrata “per il suo bene” e spacciata “per amore”.
E questa “ideologia del disamore” capovolge la realtà: è al figlio maltrattato divenuto problematico perché fatto oggetto di violenza sistematica, che viene attribuita tutta l’infelicità personale, familiare e di coppia.
La rabbia del genitore che ha radici altrove, sfocia sul bambino.
Attraverso il maltrattamento, la famiglia scarica su di lui tutte le tensioni, mantenendo coesione tra i coniugi e assicurando continuità a tutto il nucleo.
E’ un vero e proprio sacrificio umano.
E che succede ad un bambino sopraffatto, ed in seguito ad un adolescente represso?
Che tipo di immagine di sé ne ricava?
E che fine fa la sua rabbia?
Nel mondo delle emozioni, vale la legge di Lavoisier, “Nulla si crea, nulla si distrugge”.
Quella rabbia e quella violenza non scompaiono.
Non stupiamoci se da sempre c’è tanta violenza nel mondo.
Gli iniziatori sono stati i genitori.
Le ricerche mostrano che nei Paesi in cui è stata bandita la violenza domestica, c’è maggior rispetto familiare e sociale, mentre nelle zone della Terra dove l’educazione è rimasta tradizionale e patriarcale, cioè prepotente e tirannica, ci sono focolai di violenza e terrorismo.
Antonella Lia