le parole sono finestre oppure muri

Scambi di idee sulle letture che ci fanno riflettere. Un'area di confronto in cui discutere degli articoli pubblicati sul sito e degli autori che, in bene o in male, hanno destato il nostro interesse.

le parole sono finestre oppure muri

Messaggioda francesca78 » venerdì 11 dicembre 2009, 15:55

Ho finito di leggere "le parole sono finestre oppure muri"
Vorrei parlarne con voi se vi fa piacere e sentire cosa ne pensate.
Trovo che abbia spunti molto interessanti ma alcuni punti critici per me. Di alcuni avevo gia' parlato in un altro topic ma li ripeto:
Osservare senza interpretare. Dal mio punto di vista non e' realistico. Faccio un esempio. Cecilia a 10 mesi morde la sua amica. Se Cecilia avesse descritto la stessa situazione avrebbe detto "Cecilia da un bacio alla sua amica". Questo per me e' un punto centrale perche' riconoscere che gio' che si vede dipende dal punto di vista e' piu' rispettoso anche nei confronti degli altri. Il significato che noi attribuiamo alle cose e' gia' espressione di sentimenti e bisogni, quindi io mi trovo piu' sul cercare di ascoltare questi significati piuttosto che pensare che posso eliminarli.

La rabbia: mi sembra che la rabbia venga trattata diversamente dagli altri sentimenti, non capisco perche'. La rabbia e' espressione di un bisogno e cosi' anche gli altri sentimenti. Per cui perche' deve avere un ruolo diverso? La rabbia avviene quando ci si aspetta la risposta ad un bisogno e magari la si aspetta dall'altro per cui lo si incolpa della non risposta al proprio bisogno. Per'o qui entrano anche le aspettative. Io credo che i rapporti tra persone siano basati sulle aspettative, ma inteso in senso positivo, di relazioni e contatti. Dal mio compagno mi aspetto sicuramente cose diverse e mi aspetto di soddisfare dei bisogni con lui che non mi aspetto da altre persone. Per questa ragione, a parte il discorso rabbia, il discorso che dagli altri ci si aspetta un aiuto nel soddisfare i propri bisogni e' secondo me legittimo.

Adesso devo andare e tornero' a raccontarvi il resto delle mie riflessioni (sperando anche di chiarire perche' scrivo sempre velocemente e spesso so che non sono chiara) in un altro momento. Voi cosa ne pensate? Ciao
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Re: le parole sono finestre oppure muri

Messaggioda melidi7 » venerdì 11 dicembre 2009, 17:15

francesca, io ci tengo a risponderti, ma subito subito ho bisogno di un po di ordine e tranquilità per affrontare un argomento che sta così a cuore per me.
da settembre sto facendo un corso di 9 mesi con 2 trainercnv proprio per poter aiutare altri ad approfondire e conoscere meglio la cnv (non come trainer ma come un compagno di strada con un po di pratica :) ).
quindi torno apena posso oggi (probabilmente dopo le 10 di sera--oggi abbiamo solo un computer funzionante e siamo sempre in tanti a volerlo usare!).
a dopo!
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Re: le parole sono finestre oppure muri

Messaggioda Caterina C » venerdì 11 dicembre 2009, 19:54

Ciao Francesca,
inizio a rispondere a te, poi riprendo anche il discorso della CNV a misura di bimbo nel topic sui libretti per bimbi del Centro Esserci.

Ti dico cosa ho compreso io al riguardo:
Osservare senza interpretare.

Questa pratica serve proprio ad epurare di significati diversi la descrizione dei fatti, da cui partirà la descrizione di cosa TU che parli, che osservi senti in quella situazione. E' importante perchè è l'unico modo per comunicare con il tuo interlocutore, che a sua volta avrà sentito altro. Lo spieghi benissimo: due persone possono dare una diversissima interpretazione di una situazione, ma i fatti possono essere oggettivi perchè ci sia un punto da cui partire a "comunicare empaticamente", cioè tenendo conto dei sentimenti dell'uno e dell'altro e dei bisogni che vogliono esprimere.

Ed in ogni caso, a parte coi bimbi, al di là delle intenzioni, c'è sempre un modo univoco di descrivere un accadimento, non le sue conseguenze, non le intenzioni di chi ne è attore, io credo. E anche in quei casi si può tentare una descrizione dei fatti il piu' fedele alla visione oggettiva dell'osservatore non coinvolto ;) e sviscerare cosa c'è dietro un vissuto soggettivo.

P.e.:

Se due litigassero circa chi ha rotto un oggetto che stringevano assieme e poi è caduto, il fatto oggettivo non è "tu hai lasciato cadere" / "tu hai tirato e ho perso la presa" ma "l'oggetto X è caduto e si è rotto".
Piu' chiaro?

Nel tuo esempio, chi è stato morso potrebbe dire/pensare: quando ho sentito i tuoi dentini entrarmi nella mano ho provato dolore, ben diverso da "quando mi hai morso mi hai fatto male!" "TU mi hai morso, TU mi hai fatto male".
Il bimbo potrebbe pensare (dire no): quando mi sono avvicinato con la bocca alla tua mano e l'ho poi chiusa (è un morso ma non c'era l'intenzione tu dici, ecco questo è un modo approssimato di dire ceh accade senza che ci sia subito un giudizio negativo) ero eccitata e ho espresso il mio desiderio di contatto -fisico ;) - ma qui entra la sperimentazione e molto altro, per cui è un esempio che non ci porta lontano.... Ha piu' senso interrogarsi e magari chiedere al bimbo, ma non a 10 mesi forse:
quando hai stretto i tuoi dentini sulla mano della tua amichetta, intendevi... comunicare il tuo affetto?
to be continued, torno dopo
devo chiudere!

Edit: ho riletto il tuo esempio di Cecilia che morde un'amichetta, solo dopo ho pensato che se l'amichetta è della stessa età ha ancor meno senso questo processo "tra loro", ma serva piu' a voi adulte -mamme- a fare da tramite, ma prima ancora a empatizzare con le bimbe.

Quindi a maggior ragione si deve ragionare su supposizioni di cosa provino i bimbi e che bisogno possano esprimere, ma non è un esercizio sterile e risulta davvero molto utile per capire meglio certi comportamenti. A questo punto è ancora piu' importante separare i fatti -oggettivi- da sentimenti e bisogni che esprimono.

Tu mentalmente dovresti chiederti quando Cecilia ha morso l'amica che bisogno esprimeva e la mamma dell'amica idem.
Però ripeto con bimbi così piccoli è difficile fare questo processo, ha poco senso, io credo. (Mel ci dirà) perchè sono decisamente prossimi alla CNV perfetta, cioè quella del neonato di pochi giorni, ancora integro nella sua capacità di comunicare sentimenti e bisogni in modo diretto, senza mediazioni "razionali".

Ha senso però nella misura in cui noi adulti usiamo questo processo per eliminare i nostri pregiudizi sui piccoli (piange perchè fa i capricci, morde perchè è dispettoso)
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Re: le parole sono finestre oppure muri

Messaggioda francesca78 » venerdì 11 dicembre 2009, 22:10

Sono contenta di confrontarmi con voi :) .

sto facendo casino vorrei quotare caterina... fate come se avessi quotato :culpa:

Yu l'altro giorno parlavi di "bisogno di senso". Io credo che questo bisogno lo soddisfiamo continuamente attraverso l'interpretazione. In antropologia tempo fa si parlava di osservazione oggettiva, poi si è cominciato a parlare di "osservazione partecipata". Ora non mi ricordo più i termini esatti, ma questo è proprio il concetto che sto cercando di esprimere. Se un soggetto "esterno, in una situazione di "analisi" antropoligica concepisce la propria osservazione come "partecipata" (e che quindi riconosce il suo costruire la realtà e il suo darle significato anche attraverso l'osservazione) vale anche quando ci troviamo a vivere un conflitto un rapporto, un momento di vita con l'altro. Quando io dico di lasciare che i nostri vissuti ci parlino, io dico proprio che questi vissuti, il nostro e quello degli altri, ci raccontano quelli che sono i nostri bisogni e quelli degli altri. In realtà non è mica così distante dalla conclusione che dici tu, ma è l'assunto di base, il modo di arrivarci che secondo me è più rispettoso di noi stessi e degli altri. La mamma quando si trova a gestire un litigio alle bimbe non si aspetta che dicano "l'oggetto è caduto e si è rotto", ma una racconterà "lei me l'ha rubato", e l'altra dirà "ce lo avevo io prima" e saranno queste due cose che daranno informazioni di quanto è accaduto dentro di loro, non l'osservazione oggettiva del fatto.
Ultima modifica di francesca78 il venerdì 11 dicembre 2009, 22:38, modificato 2 volte in totale.
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Re: le parole sono finestre oppure muri

Messaggioda francesca78 » venerdì 11 dicembre 2009, 22:21

Aggiungo un altro punto che avevo già scritto nell'altro topic
(copio,incollo e aggiungo)
Le condizioni della comunicazione. C'è un esempio in cui un'insegnante dice "io devo dare i voti anche se odio farlo" viene esortata a ripetere il concetto dicendo scelgo al posto di devo per riconoscere la propria responsabilità. E' vero che c'è una responsabilità, ma è anche vero che le condizioni in cui la responsabilità avviene è determinata da condizioni (il perdere il posto) che danno un peso diverso a quel scelgo rispetto a un insegnante che invece sceglie di dare i voti per convinzione educativa (quindi scegliere di dire devo piuttosto che scelgo da un'informazione fondamentale sui sentimenti e i bisogni di quella persona).

E altro punto sempre sulle condizioni che determinano un certo tipo di comunicazione e rapporti, riguarda quello che ho scritto precedentemente riguardo alla storia del paese del no. Affinchè si scelga di dire un SI (inteso in senso lato) è necessario che vi siano le condizioni che garantiscono che "non si perde qualcosa". Perchè si fa fatica ad esprimere i propri sentimenti e bisogni? non è solo perchè non siamo stati abituati a farlo, ma è anche perchè può essere "rischioso", se non viene tutelato questo passaggio secondo me ho poco da parlare di comunicazione non violenta. Non sempre è sufficiente scambiarsi bisogni e sentimenti, spesso capita che questo non basti. Spesso ci si ferma in situazioni in cui ci si è capiti ma non si riesce ad andare avanti e qui c'è il discorso della contrattazione che in questo libro (le parole sono finestre..., non sto parlando di gira giraffa)non viene molto considerato.

Specifico che io non sto parlando solo per quanto riguarda la crescita dei nostri bimbi, ma dei rapporti in generale.

Adesso guardo di trovare anche delle cose che posso condividere con voi da leggere che sono alla base delle mie interpretazioni della CNV di Rosenberg.
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Re: le parole sono finestre oppure muri

Messaggioda Caterina C » sabato 12 dicembre 2009, 1:27

Rieccomi....

Ciao Francesca,
ho ben presente di cosa parli e ho compreso cosa intendi. Sicuramente però parliamo di due cose diverse.

E' ovvio, e' inevitabile ed è anche naturale, che ognuno di noi dia una lettura di cosa accade portndosi dietro il suo vissuto e anche il suo mondo emotivo, consapevolmente o meno. Ora, p.e. io ti parlo da persona con studi di sociologia alle spalle, molto interessata alla cominicazione, ma recentemente folgorata dalla CNV, che ora sto praticando, il che vuole dire che per me, oggi, è qualcosa con cui provo a filtrare tutto quello che mi accade. Non so ancora se sia transitoria oppure no questo mia folgorazione, ma ad oggi sono così entusiasta e anche desiderosa di comprendere meglio che provo sempre a fare un'analisi CNV. Sempre sempre no, ma se ci riesco trovo che mi aiuti molto!

Vorrei precisare che io ti ho detto che dice Rosemberg, almeno per quanto ho approfondito io, non una verità assoluta. Lui sostiene che sia importante essere oggettivi quanto piu' sia possibile, perchè solo così, si riuscirebbe ad empatizzare con l'altro; cioè afferma che spogliando di (pre)giudizi le nostre esperienze, partendo da una lettura strettamente limitata ai fatti accaduti, si possa trovare piu' facilmente un punto di partenza comune per iniziare ad analizzare i nostri sentimenti e bisogni e poi quelli altrui. L'oggettività in questo caso fa da ponte.

Tu la vedi, se ho ben capito, come un limite, perchè ti pare poco realizzabile e perchè vedi una grande ricchezza nella soggettività della percezione di ognuno di cosa accade. Posso capirlo, ma non condivido il primo assunto: se alle persone degli esempi che hai fatto si chiedesse di elencare SOLO fatti, aiutandole a capire quando stanno entrando dei giudizi nel loro resoconto, si arriverebbe alla narrazione degli stessi accadimenti.

I piani sono due, un conto se le due bimbe facessero loro un dialogo CNV e si analizzassero, irrealistico, poi dipende dall'età ovviamente e se sono bimib cresciuti con l'abitudine e (e la possibilità di) riconoscere i loro sentimenti e bisogni.

Altro è quello dell'osservatore.
Qui dici
La mamma quando si trova a gestire un litigio alle bimbe non si aspetta che dicano "l'oggetto è caduto e si è rotto", ma una racconterà "lei me l'ha rubato", e l'altra dirà "ce lo avevo io prima" e saranno queste due cose che daranno informazioni di quanto è accaduto dentro di loro, non l'osservazione oggettiva del fatto.

da cui deduco dove risiedono le tue perplessità: forse non arriveremo mai nella vita di tutti i giorni a dialogare così con tutti, ma in genere questo tipo di analisi si fa a posteriori e funziona ben se non stiamo ponendoci come osservatori, partecipanti o meno, ma come attori e quindi osserviamo i nostri sentimenti oltra a quelli degli altri.

La situazione si può essere svolta così e la mamma rifletterà e terrà conto delle preziose indicazioni che le loro parole esprimono del loro mondo interiore, questo non le vieta, se pensa le possa servire, che possa partire da esse per fare un'analisi CNV, che potrebbe essere:

Quando mia figlia mi dice "lei me l'ha rubato", prova rabbia? dolore? è triste perchè l'oggetto si è rotto? ha paura perchè non trova riscontri al suo bisogno di sicurezza per le cose cui tiene?

Hai notato che è cambiato il "fatto"?
non è piu' l'oggetto che si rompe, ma quello che sente la madre (posto che sia attenta e non interpreti, infatti potrebbe riportare parole diverse da quelle proferite)

Questo passaggio non l'ho ben capito, dici:
In realtà non è mica così distante dalla conclusione che dici tu, ma è l'assunto di base, il modo di arrivarci che secondo me è più rispettoso di noi stessi e degli altri.


La figlia giudica l'altra bimba, la madre usa la lente CNV per vedere cosa c'è dietro al giudizio, non è assolutamente ipotizzabile che non ne tenga conto, ci mancherebbe. Quando parlo di fatti, alla maniera di Rosemberg, intendo singoli momenti, come delle polaroid. Tanto che poi quando lui parla di richieste, che possano aiutare i bisogni riconosciuti dietro i sentimenti espressi, specifica di farne di concrete, limitate al fatto preciso e molto circostanziate. Probabilmente, questa è una riflessione mia, lui è arrivato a procere così perchè si è reso ben conto della complessità di emozioni e la ricchezza di sfumature che c'è dietro ogni relazione, per cui propone di farne tanti piccoli pezzettini e analizzarli per bene.

Effettivamente sono modo di procedere che portano allo stesso risultato, ma io vedo una differenza nel fatto che l'iter di Rosemberg permette di procedere "allo specchio", cioè se ipoteticamente due persone si analizzano in CNV (io ho provato a farlo con mio marito e funziona) partendo da uno stesso fatto -ed eventualmente possono concordare sulla ricostruzione degli eventi per concordare su cosa focalizzarsi, posto che già la scelta di un preciso fatto anzichè un altro ci dica moltissimo- iniziassero ad indagari i propri sentimenti e bisogni poi potrebbero confrontarsi dandosi empatia alternativamente e vicendevolmente.

Se solo uno dei due pratica la CNV, deve sì fare il lavoro piu' grande, ma ha modo di offrire la propria lettura all'altro in chiave CNV e avendo già riflettuto anche sui sentimenti e bisogni dell'altro può davvero fare un gran salto di qualità nel rapporto.

Con Mel e altri tante volte in privato o in redazione si è discusso di come quello che è uno strumento con delle strutture un po' artificiose e rigide a prima vista, può diventare con la pratica un modo di vedere cosa ci accade sempre piu' naturale e aiutare molto nella vita a impostare diversamente i rapporti.
Era tempo che si pensava di aprire un topic così, Mel ci teneva molto, per cui ti ringrazio perchè so già che sarà molto interessante portarlo avanti...

E vediamo Mel se potrà aggiungere altro, lei è su CNV da molto piu' tempo!

L'altro esempio è decisamente piu' complesso, la questione della scelta, come dici tu in condizioni di costrizione è decisamente difficile.

Sulla rabbia è tempo che vorrei scrivere le mie riflessioni, e poi rimando sempre perchè non ho tempo...

Ad ogni modo, Rosemberg dice che è un sentimento un po' particolare perchè ne maschera in genere altri, per questo lo tratta a parte. Se ci pensi è vero: quando sei arrabbiata in genere c'è altro dietro, almeno io ho questa esperienza.
Per quanto riguarda le aspettative, è vero quello che dici, ma anche qui, se vogliamo approfondire Rosemberg e vedere se possiamo fare nostro il suo punto di vista, dobbiamo considerare gli assunti di base che propone: posto di analizzare una situazione che ci riguarda in prima persona, proviamo a considerare una persona alla volta, noi per iniziare.

In sintesi quello che io ci leggo è che si parte dall'idea che tutto il necessario per essere piu' in equilibrio risieda in noi, o che se vuoi anche la potenzialità di cambiare la società partendo da te, e io condivido questo assunto con i suoi annessi e connessi. Sicuramente ho delle aspettative sugli altri e non sono una persona che basta a se stessa, o vivrebbe in una caverna isolata, ma so che quando non sono in equilibrio prima devo comprendermi, poi darmi empatia e ritrovare un equilibrio, solo dopo interagire col resto del mondo, perchè se faccio diversamente in genere finisco arenata.

Chiaramente quando uno sta molto molto male emotivamente può aver bisogno di un supporto professionale, ma andiamo OT.

Inizio ad inviare...
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Re: le parole sono finestre oppure muri

Messaggioda melidi7 » sabato 12 dicembre 2009, 19:30

francesca78 ha scritto:Osservare senza interpretare. Dal mio punto di vista non e' realistico. Faccio un esempio. Cecilia a 10 mesi morde la sua amica. Se Cecilia avesse descritto la stessa situazione avrebbe detto "Cecilia da un bacio alla sua amica". Questo per me e' un punto centrale perche' riconoscere che gio' che si vede dipende dal punto di vista e' piu' rispettoso anche nei confronti degli altri. Il significato che noi attribuiamo alle cose e' gia' espressione di sentimenti e bisogni, quindi io mi trovo piu' sul cercare di ascoltare questi significati piuttosto che pensare che posso eliminarli.


francesca, ti ringrazio che hai aperto questo topic, sono mesi che volevo farlo ma la vita reale mi preme e non riuscivo mai decidermi di farlo, anche perche non riuscivo decidermi da dove partire: "osservare senza interpretare" è così basilare alla struttura cnv che è perfetto come trampolino. quindi grazie perche mi è molto importante contribuire in qualche modo, condividendo cio che ho appreso lungo la Strada della vita...

se ho capito bene,
per te è importante che venga riconosciuto i punti di vista altrui ("riconoscere che ciò che si vede dipende dal punto di vista") perche faccendo così risulta "più rispettoso anche nei confronti degli altri" ...forse per te è importante far chiarezza ma anche tenere in considerazione degli sentimenti e bisogni altrui?

poi scrivi:

Tu (CaterinaC..ndr) l'altro giorno parlavi di "bisogno di senso". Io credo che questo bisogno lo soddisfiamo continuamente attraverso l'interpretazione. In antropologia tempo fa si parlava di osservazione oggettiva, poi si è cominciato a parlare di "osservazione partecipata". Ora non mi ricordo più i termini esatti, ma questo è proprio il concetto che sto cercando di esprimere. Se un soggetto "esterno, in una situazione di "analisi" antropoligica concepisce la propria osservazione come "partecipata" (e che quindi riconosce il suo costruire la realtà e il suo darle significato anche attraverso l'osservazione) vale anche quando ci troviamo a vivere un conflitto un rapporto, un momento di vita con l'altro. Quando io dico di lasciare che i nostri vissuti ci parlino, io dico proprio che questi vissuti, il nostro e quello degli altri, ci raccontano quelli che sono i nostri bisogni e quelli degli altri. In realtà non è mica così distante dalla conclusione che dici tu, ma è l'assunto di base, il modo di arrivarci che secondo me è più rispettoso di noi stessi e degli altri. La mamma quando si trova a gestire un litigio alle bimbe non si aspetta che dicano "l'oggetto è caduto e si è rotto", ma una racconterà "lei me l'ha rubato", e l'altra dirà "ce lo avevo io prima" e saranno queste due cose che daranno informazioni di quanto è accaduto dentro di loro, non l'osservazione oggettiva del fatto.


Traggo da questa paragrafo che per te è attraverso l'interpretazione personale che si trae chiarezza su una sitazione, e così riesci piu facilmente arrivare ai sentimenti e bisogni degli altri; inoltre colgo da qui che la ragione che trovi difficile e poco praticabile osservare senza interpretare o analizzare (avevi scritto nel primo post che un osservazione senza interpretazione "non è realistico") ti arriva dal concetto dell'analisi antropologica dove l'osservazione dell'antropologo non è mai oggettiva perche filtra attraverso le sue osservazione la sua stessa vissuto che è condizionato (perche appreso inconsciamente) dalla sua cultura d'origine (avevi scritto: "riconosce il suo costruire la realtà e il suo darle significato anche attraverso l'osservazione").

Quindi, quando tu scrivi:
vale anche quando ci troviamo a vivere un conflitto in un rapporto, un momento di vita con l'altro. Quando io dico di lasciare che i nostri vissuti ci parlino, io dico proprio che questi vissuti, il nostro e quello degli altri, ci raccontano quelli che sono i nostri bisogni e quelli degli altri. In realtà non è mica così distante dalla conclusione che dici tu, ma è l'assunto di base, il modo di arrivarci che secondo me è più rispettoso di noi stessi e degli altri.


colgo proprio dalle tue preoccupazione contro l'uso di una descrizione oggettivo senza interpretazione o giudizi le stesse ragioni che la comunicazione non violenta come proposta da Marsall B. Rosenberg (www.cnvc.org) lo sostiene come parte basilare di una degli strategie (cioè la forma formale dello scambio cnv del osservazione, emozione, bisogno, richiesta: con noi stessi, con gli altri) più potenti ed efficaci (ma non facili, eh!) che possiamo usare per avere rapporti basata sulla connessione, compassione e fiducia quale io vorrei avere con il mio compagno di vita e i miei figli e che suppongo tutti noi vorremmo avere con i nostri cari.

quindi, perchè è importante che noi non facciamo osservazioni oggettivi, privi di giudizi vari o interpretazioni?
L'osservazione oggettivo al massimo, privo di giudizio e interpretazioni è importante perche questo tipo di osservazione mi dà potere e forza in diversi modi:
--è liberatorio perche mi sostiene nella comprensione a cosa sto reagendo aiutandomi nella consapevolezza del momento; invece quando faccio un'osservazione mista ad interpretazioni, non ho la stessa libertà per scegliere un altra risposta.
--mi lascia libera la possibilità di connettere, di creare connessione se voglio, con l'altra persona. Se dico "sei maleducato" e loro dicono, "no," finiamo per argomentare con la interpretazione anziche formare una legame (quello che chiamo connettere :o)). Stessa cosa se dico "quello che hai fatto è sbagliato" e loro non sono d'accordo wink wink .

ripeto una cosa che avevi scritto:
Questo per me e' un punto centrale perche' riconoscere che gio' che si vede dipende dal punto di vista e' piu' rispettoso anche nei confronti degli altri. Il significato che noi attribuiamo alle cose e' gia' espressione di sentimenti e bisogni, quindi io mi trovo piu' sul cercare di ascoltare questi significati piuttosto che pensare che posso eliminarli.

non è che noi dobbiamo eliminare dal nostro pensare lo giudizio, lo analizi. Anzi. è solo recentemente che ho scoperto quanto è importante ascolatare queste parole che appaiono sia in testa, che sentiamo da altri, o aime, alle volte escono dalla mia bocca prima che posso frenarli. Proprio come dici, sono chiare indicazioni dei bisogni e emozioni che "sono vivi in noi" e non vanno ignorati ma ascoltati e tradotti. Non è utile usare parole che possono essere interpretate in modi diversi da persone diverse. Perche se io dico "la mia bambina è maleducata" io magari intendo che parla mentre parlo anch'io, mio marito magari capisce che risponde a una sua "richiesta-non richiesta" dicendo "No!", e la maestra del paese forse crede che vuol dire che dice le "parolacce"...e cosi via. invece si io dico la mia bambina parla mentre parlo io, non ho giudicato almeno verbalmente e se riesco a connettere con me stessa, e cercare cosa sento quando quello succede e cosa ho bisogno (mi sento frustrata perche ho bisogno di esprimermi senza interuzzioni perche perdo il filo troppo facilmente ecc ecc) allora posso ri centrarmi, respirare e rispondere alla mia figlia senza arrabbiarmi piu (io non ho questo problema, è ipotetico--figurati in una casa di 9 dove tutti vogliono parlare mi sempre!)

spero che ho fatto un po di chiarezza sul perche il bisogno di un'osservazione senza interpretazioni, giudizi o analizzi.
adesso quardo la parte sullla rabbia, e intanto aspetto domande ecc.
xxmelissa
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Re: le parole sono finestre oppure muri

Messaggioda Ella » sabato 12 dicembre 2009, 23:57

Ho da poco iniziato pure io a leggere questo libro e trovo interessante questo topic e le obiezioni di Francesca.
Se non ho capito male lei sostiene, come per molti filosofi e pure per un certo tipo di scienza, che non esiste una osservazione oggettiva, (forse nemmeno una realtà oggettiva? Persino quella che chiamiamo "realtà" si modifica quando viene osservata, ad esempio sapevo di certi esperimenti , secondo i quali persino gli elettroni e gli atomi si comportano diversamente se c'è un osservatore!!! ).
Insomma forse, se ho capito bene, secondo lei è impossibile arrivare a una descrizione veramente e solo puramente oggettiva, anche quando pensiamo che sia oggettiva e anche quando pensiamo di togliere i giudizi dal resoconto semplice dei fatti cosi' come negli esempi fatti da Rosenberg. Forse però bisognerebbe solo cambiare la terminologia , io credo di avere capito cosa dice Rosenberg su questo punto e il metodo potrebbe risultare utile anche se non lo chiamiamo " fatti oggettivi staccati dai pregiudizi" ma "fatti il più possibile oggettivi nelle nostre intenzioni e separati il più possibile dai nostri pregiudizi". Insomma a mio avviso quando si ha a che fare con certi metodi che possono essere molto utili , mi sembra abbastanza implicito che non si sta mai parlando di assoluti perfetti , perchè l'assoluto perfetto nelle nostre vite non può proprio mai esserci. :mrgreen:
Ella
 

Re: le parole sono finestre oppure muri

Messaggioda foglievive » domenica 13 dicembre 2009, 2:24

francesca78 ha scritto:Osservare senza interpretare. Dal mio punto di vista non e' realistico.

Non solo non è realistico, ma -come hai chiarito tu stessa e splendidamente Graziella che ha citato gli scettici neo-pirroniani e il principio di indeterminatezza di Heisenberg -componendo l'arco filosofico-temporale- non esiste.
francesca78 ha scritto:Il significato che noi attribuiamo alle cose e' gia' espressione di sentimenti e bisogni, quindi io mi trovo piu' sul cercare di ascoltare questi significati piuttosto che pensare che posso eliminarli.

Questo, da come l'ho 'ricevuto' io, è esattamente quanto dice Rosenberg, però. Cioé lui sostiene (descrive un mondo) che la forma di comunicazione predominante oggi è basata su un linguaggio che ci ha alienati dai nostri bisogni primigeni (e in questo ci vedo anche molto continuum), da quello che ci accomuna tutti in quanto viventi proprio perché abbiamo perso l'ascolto: non potrò mai eliminarli codesti significati frutto di bisogni mal interpretati: è questo che ci dice la rabbia.
Io mi ci ritrovo e a giudicare da quanto c'è intorno a noi, direi che ha ragione.
Utilizza lo sciacallo o la giraffa come esemplificazioni zoomorfiche di questo modo di parlare (lo saprai e se ti fai un giretto su Youtube Apri il link in una nuova finestra vedi dei filmati con l'utilizzo di pupazzi.. a volte un pò esilaranti, ma che mostrano efficacemente il metodo all'opera).

Tornando all'obiezione filosofica, direi che -da come la vedo io- quanto il metodo CNV mette a fuoco è una sorta di epoché, di sospensione del giudizio alla maniera scettica -o meglio di sua messa a fuoco, di accerchiamento e riconoscimento- rispetto alle dinamiche di comunicazione per perseguire la connessione.

Alla base c'è scava scava un assunto fondamentale ed è questo: io credo che in quanto essere vivente ciò che mi lega agli altri viventi sia la compassione che è sia 'mettersi nei panni di' ma anche il non voler fare male agli altri. In questo, è molto vicino alle filosofie orientali: all'ahimsa delle upanishad - beh.. Gandhi era indiano, non a caso.

Se non si crede a questo assunto non c'è niente da fare Rosenberg si "smonta", eccome. Lo so bene perché l'ho sperimentato di persona. Per questo mi ha molto colpito il brano di Miller che ha citato Lucybike
"I numerosi manuali che insegnano ad avviare una comunicazione libera da violenza, tra cui anche i preziosi ed intelligenti consigli di T. Gordon e M.B. Rosenberg sono certamente efficaci per le persone che, da piccole, hanno potuto mostrare senza pericolo i propri sentimenti e che vivevano accanto ad adulti che potevano servire loro da modello nel saper-essere-sè -stessi. Ma i bambini che hanno riportato gravi lesioni nella loro identità non sapranno in seguito che cosa provano e di che cosa hanno davvero bisogno. Dovranno prima impararlo in una terapia, viverlo, e poi, attraverso sempre nuove esperienze, acquisire la certezza che non stanno sbagliando. Infatti da figli di adulti immaturi sul piano emotivo o addirittura disturbati psichicamente hanno dovuto credere che i propri sentimenti e bisogni fossero sbagliati, perchè altrimenti - pensano questi bambini - i loro genitori non si sarebbero rifiutati di comunicare con loro."


Perché mi dovrei connettere? Non credo che la compassione sia il sentimento di base che mi debba caratterizzare. Esprimere i miei bisogni mi mette a rischio, mi mette in una posizione di *minore* rispetto al mio interlocutore. Perché devo cedere se posso aver ragione, se *so* di aver ragione? sono frasi che dicono molto di noi e della nostra storia personale, secondo me.
Certo, comunicare in maniera nonviolenta non vuol dire né che farò di me una persona felice e variopinta che ottiene sempre quello che vuole ossia che farò fare agli altri quello che vorrei rientrando in quello schema maggiore-minore che fa tanti danni nella comunicazione.

Avete tutti scritto cose bellissime; grazie: le ho lette con molto interesse.
Grazie a Francesca che le ha suscitate.
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Re: le parole sono finestre oppure muri

Messaggioda francesca78 » domenica 13 dicembre 2009, 22:24

melidi7 ha scritto:se ho capito bene,
per te è importante che venga riconosciuto i punti di vista altrui ("riconoscere che ciò che si vede dipende dal punto di vista") perche faccendo così risulta "più rispettoso anche nei confronti degli altri" ...forse per te è importante far chiarezza ma anche tenere in considerazione degli sentimenti e bisogni altrui?


si, e i miei ovviamente

melidi7 ha scritto:Traggo da questa paragrafo che per te è attraverso l'interpretazione personale che si trae chiarezza su una sitazione, e così riesci piu facilmente arrivare ai sentimenti e bisogni degli altri; inoltre colgo da qui che la ragione che trovi difficile e poco praticabile osservare senza interpretare o analizzare (avevi scritto nel primo post che un osservazione senza interpretazione "non è realistico") ti arriva dal concetto dell'analisi antropologica dove l'osservazione dell'antropologo non è mai oggettiva perche filtra attraverso le sue osservazione la sua stessa vissuto che è condizionato (perche appreso inconsciamente) dalla sua cultura d'origine (avevi scritto: "riconosce il suo costruire la realtà e il suo darle significato anche attraverso l'osservazione").


si è quello che penso

melidi7 ha scritto:colgo proprio dalle tue preoccupazione contro l'uso di una descrizione oggettivo senza interpretazione o giudizi le stesse ragioni che la comunicazione non violenta come proposta da Marsall B. Rosenberg (http://www.cnvc.org) lo sostiene come parte basilare di una degli strategie (cioè la forma formale dello scambio cnv del osservazione, emozione, bisogno, richiesta: con noi stessi, con gli altri) più potenti ed efficaci (ma non facili, eh!) che possiamo usare per avere rapporti basata sulla connessione, compassione e fiducia quale io vorrei avere con il mio compagno di vita e i miei figli e che suppongo tutti noi vorremmo avere con i nostri cari.


si anche io credo che siamo d'accordo su quello che si vuole raggiungere :) Sai quali erano gli esempi che più mi rendevano infastidita da questo concetto dell'oggettività nel libro?:
pag 50 la conversazione di rosenberg con dei docenti in contrasto con il direttore. Loro gli dicono cosa pensano del direttore e lui cerca una risposta senza giudizio. Io in situazioni di questo tipo trovo che sia giusto rispettare il linguaggio di chi parla e il sentito che questo linguaggio porta con se. Poi si può "pulire" il giudizio, ma in quel momento è importante ascoltarlo. Richiedere uno sforzo così grande di pulitura del linguaggio in un momento che è di analisi a mio avviso fa ritirare le persone. Penso alla mia bimba. Lei quando mi parla mi parla con la convinzione che quello che mi dice è la realtà raccontandomi magari una "balla" colossale (non per prendermi in giro ovviamente), e io se le dicessi che non è vero, o se dovessi dirle di "correggere" quello che dice in qualcosa di oggettivo" la irrigidirei.
Ci sono altri esempi invece in cui rosenberg aiuta direttamente a tradurre il vissuto in sentimento/bisogno ed eventualmente io mi ritrovo in questo modo di fare.
Diciamo che, se ce la faccio preferisco fare direttamentequesto ultimo passaggio, altrimenti mi soffermo sul vissuto (mio o dell'altro) per poi passare al sentimento/bisogno.
Tra parentesi questo concentrarsi sull'oggettivazione, secondo me implica il rischio di far passare per oggettivi giudizi e valutazioni impliciti e inconsci.


melidi7 ha scritto:non è che noi dobbiamo eliminare dal nostro pensare lo giudizio, lo analizi. Anzi. è solo recentemente che ho scoperto quanto è importante ascolatare queste parole che appaiono sia in testa, che sentiamo da altri, o aime, alle volte escono dalla mia bocca prima che posso frenarli. Proprio come dici, sono chiare indicazioni dei bisogni e emozioni che "sono vivi in noi" e non vanno ignorati ma ascoltati e tradotti. Non è utile usare parole che possono essere interpretate in modi diversi da persone diverse. Perche se io dico "la mia bambina è maleducata" io magari intendo che parla mentre parlo anch'io, mio marito magari capisce che risponde a una sua "richiesta-non richiesta" dicendo "No!", e la maestra del paese forse crede che vuol dire che dice le "parolacce"...e cosi via. invece si io dico la mia bambina parla mentre parlo io, non ho giudicato almeno verbalmente e se riesco a connettere con me stessa, e cercare cosa sento quando quello succede e cosa ho bisogno (mi sento frustrata perche ho bisogno di esprimermi senza interuzzioni perche perdo il filo troppo facilmente ecc ecc) allora posso ri centrarmi, respirare e rispondere alla mia figlia senza arrabbiarmi piu (io non ho questo problema, è ipotetico--figurati in una casa di 9 dove tutti vogliono parlare mi sempre!)


Qui c'è il punto di contatto tra il mio modo di vedere le cose e il vostro, io vorrei imparare a fare questo passaggio mentale prima nella mia testa (direttamente vissuto che esprimo attraverso i bisogni), ma credo che l'esprimere il vissuto con la disponibilità di ascoltarlo e tradurlo in bisogni sia già molto (cosa che ovviamente non sempre riesco a fare :roll: ).
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Re: le parole sono finestre oppure muri

Messaggioda francesca78 » domenica 13 dicembre 2009, 22:35

Ellegidio è si quello che dico, anche se poi io sono convinta anche che si rischi di perdere qualcosa senza ascoltare il vissuto (che è quello che descriveva melidi nell'ultimo paragrafo) e andando all'oggettivo.

QUOTO FOGLIEVIVE
Alla base c'è scava scava un assunto fondamentale ed è questo: io credo che in quanto essere vivente ciò che mi lega agli altri viventi sia la compassione che è sia 'mettersi nei panni di' ma anche il non voler fare male agli altri. In questo, è molto vicino alle filosofie orientali: all'ahimsa delle upanishad - beh.. Gandhi era indiano, non a caso.

Se non si crede a questo assunto non c'è niente da fare Rosenberg si "smonta", eccome. Lo so bene perché l'ho sperimentato di persona. Per questo mi ha molto colpito il brano di Miller che ha citato Lucybike:
"I numerosi manuali che insegnano ad avviare una comunicazione libera da violenza, tra cui anche i preziosi ed intelligenti consigli di T. Gordon e M.B. Rosenberg sono certamente efficaci per le persone che, da piccole, hanno potuto mostrare senza pericolo i propri sentimenti e che vivevano accanto ad adulti che potevano servire loro da modello nel saper-essere-sè -stessi. Ma i bambini che hanno riportato gravi lesioni nella loro identità non sapranno in seguito che cosa provano e di che cosa hanno davvero bisogno. Dovranno prima impararlo in una terapia, viverlo, e poi, attraverso sempre nuove esperienze, acquisire la certezza che non stanno sbagliando. Infatti da figli di adulti immaturi sul piano emotivo o addirittura disturbati psichicamente hanno dovuto credere che i propri sentimenti e bisogni fossero sbagliati, perchè altrimenti - pensano questi bambini - i loro genitori non si sarebbero rifiutati di comunicare con loro."

Foglievive:
Perché mi dovrei connettere? Non credo che la compassione sia il sentimento di base che mi debba caratterizzare. Esprimere i miei bisogni mi mette a rischio, mi mette in una posizione di *minore* rispetto al mio interlocutore. Perché devo cedere se posso aver ragione, se *so* di aver ragione? sono frasi che dicono molto di noi e della nostra storia personale, secondo me.
Certo, comunicare in maniera nonviolenta non vuol dire né che farò di me una persona felice e variopinta che ottiene sempre quello che vuole ossia che farò fare agli altri quello che vorrei rientrando in quello schema maggiore-minore che fa tanti danni nella comunicazione.


Ecco io credo che riconoscendo i vissuti ci sia modo di parlare e di condurre (a fatica) a riconoscere sentimenti e bisogni anche chi non ha nessuna intenzione di connettersi, almeno non all'inizio (credo che anche Rosenberg quando parla di risoluzione di conflitti coinvolga anche queste persone anche perchè raccontava di situazioni estreme come israele e palestina o guerre fra bande).
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Re: le parole sono finestre oppure muri

Messaggioda lettricesilenziosa » lunedì 14 dicembre 2009, 1:11

Sto leggendo con tanto interesse i vostri commenti, perché la CNV mi incuriosisce sempre di più e perché "Le parole sono finestre... " è un libro che da molto desidero leggere.
Non lo ho pero' ancora letto, quindi non entro in quell'aspetto della discussione... : Wink :
Mi è solo venuto in mente un possibile contributo al discorso "giudizio / non giudizio".
Quando ho studiato counselling umanistico con un approccio fenomenologico, mi è stato insegnato a "sospendere il giudizio" e "analizzarlo". In pratica, evitare il giudizio è impossibile. Pero' accoglierlo "in automatico" e farmene guidare spesso impedisce da parte mia un vero ascolto empatico, cioè mi limita nella possibilità di provare davvero per qualche momento a "guardare il mondo attraverso gli occhi di chi mi sta parlando", lasciando in sospeso i fatto che a me la realtà (vista con i MIEI occhi) puo' apparire in modo diverso. Il mio giudizio scatta, con buona probabilità, in modo automatico e spesso anche non del tutto consapevole. Posso pero' diventarne consapevole e "metterlo da parte" mentre ascolto, cercando invece di capire il punto di vista dell'altro. Nello stesso tempo, posso "osservare" cio' che ho valutato e pensato e sentito in modo istintivo. Pero' non per avere informazioni dirette sulla realtà dell'altro ma SU ME STESSA. Posso capire come mai ho reagito così. E conscere meglio me. Ma anche mettere meglio a fuoco che cosa nel parlare o agire del'altro mi ha causato certe risonanze, e così avere anche migliori informazioni su di lui. Faccio un esempio. Un mio collega mi dice <<Quel cliente è davvero faticoso da trattare: tanto per cominciare, non è mai in orario!>>. Io posso sentirmi infastidita da questo suo "tranciare un giudizio". Ma se faccio così, non ascolto davvero lui, che invece mi sta dicendo <<Io sento fatica a trattare con quella persona>>... e magari ne è preoccupato, o teme di non riuscire a fare un buon lavoro. Allora posso faremarmi a capire cosa mi sta dicendo di se stesso, non del cliente. Nello stesso tempo posso sentire il mio fastidio e ricordare che, magari, avevo un papà molto severo sugli orari, e così mi sono identificata col cliente "criticato" :lol: Ma, una volta capito questo e "separata" la figura di mio papà e quei ricordi del "lì e allora" dal "qui ed ora", posso magari capire che il link mi è scattato anche perché ho notato un tono irritato del mio collega nel parlare di quel cliente. Allora posso, senza fare proiezioni di "cose mie", anche dire a lui: <<Ho avuto la sensazione che quel cliente ti faccia provare un po' di irritazione; ti sembra possibile che sia così? Magari anche questo sentimento puo' rendere più faticoso il lavorare con lui...>>.

Non so se ho fatto un esempio comprensibile. Comunque lo schema per un buon "feed-back fenomenologico" prevede un notare (e poi eventualmente dire): <<Mentre lo ascolto io VEDO (una certa cosa).... ASCOLTO .... PENSO.... IMMAGINO.... SENTO/PROVO.... >>, e un tenere conto che tutto questo "parte da me" e da me viene "filtrato. : Wink :
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Re: le parole sono finestre oppure muri

Messaggioda Caterina C » lunedì 14 dicembre 2009, 5:36

Sì Maura, è perfettamente compatibile con quello che propone Rosenberg, grazie per il tuo intervento.
Il suo schema (fatti -oggettivi, proprio perchè ci possa essere una base comune e ognuno non si fermi dietro i propri giudizi- sentimenti, bisogni, richiesta di modificare il comportamento in analisi, perchè incontri i bisogni di chi fa la richiesta) è molto molto vicino a quello che hai descritto nel tuo esempio.

Francesca, penso di aver capito cosa non ti torna, ma soprattutto perchè: stai provando ad applicare la CNV con tua figlia lo rilevo qui, quando dici
Penso alla mia bimba. Lei quando mi parla mi parla con la convinzione che quello che mi dice è la realtà raccontandomi magari una "balla" colossale (non per prendermi in giro ovviamente), e io se le dicessi che non è vero, o se dovessi dirle di "correggere" quello che dice in qualcosa di oggettivo" la irrigidirei.
però io non capisco la necessità dell'azione che ti ho sottolineato.
Perchè dovresti "correggerla" o dire che mente?
Come ho provato a dirti in una precedente risposta, magari non era chiaro, la CNV con i bimbi va leggermente adattata, come tutta la comunicazione con loro! Non possiamo assolutamente ipotizzare in un bimbo piccolo uno sforzo del genere!
Sta al limite a te, adulta e con certi strumenti, provare a fare questo esercizio, ma nessuno pretende che lo faccia "con lei", semmai intimamente in questo caso.
E diventerebbe un
Quando mia figlia mi dice "parole esatte della figlia", è arrabbiata? triste? ecc... ha forse bisogno di...? ecc ecc.
e in base a questo processo potrai meglio empatizzare con lei e tentare di formulare una richiesta accessibile, intendo per la sua capacità di comprensione.

Ha senso per te tutto questo?

Foglievive grazie anche a te! A me veniva in mente la scuola di Chicago, però mi son censurata perchè ne avrei parlato per ore... :dryn–

breve stralcio, da un'introduzione di una tesi on line (ho fretta, mi scuso se non linko qualcosa di piu' ampio, ma questo sunto rende bene) sul metodo di ricerca di questa scuola di ricercatori sociali:
Nels Anderson, esponente atipico della Scuola di Chicago è promotore del metodo che inseguito diverrà il pilastro della corrente di Chicago: l'osservazione partecipante.
Nonostante Burgess introduca i lavori di Anderson, in particolare The Hobo, tra i "documenti umani" e "studi di comunità" ritengo che sia corretto definirlo promotore perché propone una variante atipica dell'osservazione partecipante. A differenza dell'osservatore partecipante, che si spoglia dei suoi abiti di ricercatore per infilarsi nel tessuto urbano che egli vuole analizzare, cercando di immedesimarsi il più possibile, Anderson fa l'inverso si spoglia dei suoi abiti di immigrato per immedesimarsi in quello di studioso di problemi sociali e per raccontare la sua vita con occhi non solo di studioso ma anche dalla prospettiva di colui che ha sofferto veramente degli effetti della povertà.


ciao
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Re: le parole sono finestre oppure muri

Messaggioda francesca78 » lunedì 14 dicembre 2009, 8:59

Si Caterina, io sto cercando di fare CNV con mia figlia, ma non mi passa per la testa di pretendere che lei oggettivizzi la realtà :rolln . Ho fatto il suo esempio perchè è una situazione di estrema soggettività e il linguaggio dei bimbi viene riportato come il più collegato ai sentimenti (e il più lontano dall'oggettività).

Lettricesilenziosa io mi ritrovo in quanto dici, che poi è quello che intendevo quando dicevo questo punto d'accordo con la CNV di rosenberg

francesca78 ha scritto:
melidi7 ha scritto:non è che noi dobbiamo eliminare dal nostro pensare lo giudizio, lo analizi. Anzi. è solo recentemente che ho scoperto quanto è importante ascolatare queste parole che appaiono sia in testa, che sentiamo da altri, o aime, alle volte escono dalla mia bocca prima che posso frenarli. Proprio come dici, sono chiare indicazioni dei bisogni e emozioni che "sono vivi in noi" e non vanno ignorati ma ascoltati e tradotti. Non è utile usare parole che possono essere interpretate in modi diversi da persone diverse. Perche se io dico "la mia bambina è maleducata" io magari intendo che parla mentre parlo anch'io, mio marito magari capisce che risponde a una sua "richiesta-non richiesta" dicendo "No!", e la maestra del paese forse crede che vuol dire che dice le "parolacce"...e cosi via. invece si io dico la mia bambina parla mentre parlo io, non ho giudicato almeno verbalmente e se riesco a connettere con me stessa, e cercare cosa sento quando quello succede e cosa ho bisogno (mi sento frustrata perche ho bisogno di esprimermi senza interuzzioni perche perdo il filo troppo facilmente ecc ecc) allora posso ri centrarmi, respirare e rispondere alla mia figlia senza arrabbiarmi piu (io non ho questo problema, è ipotetico--figurati in una casa di 9 dove tutti vogliono parlare mi sempre!)


Qui c'è il punto di contatto tra il mio modo di vedere le cose e il vostro, io vorrei imparare a fare questo passaggio mentale prima nella mia testa (direttamente vissuto che esprimo attraverso i bisogni), ma credo che l'esprimere il vissuto con la disponibilità di ascoltarlo e tradurlo in bisogni sia già molto (cosa che ovviamente non sempre riesco a fare :roll: ).


Secondo me la realtà come la percepiamo noi si può esternare chiedendo conferma all'altro.
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Re: le parole sono finestre oppure muri

Messaggioda Silvia D. » lunedì 14 dicembre 2009, 10:17

Per quanto riguarda me, questo libro mi ha svelato un modo di agire e di pensare che sulle prime sembrava molto difficile: tendevo a pensare per giudizi e non me ne ero accorta. Ho anche scoperto di avere un modo violento di autocriticarmi, senza mostrare empatia verso i miei propri sentimenti. Questo percorso mi ha aiutato molto.

In questo mondo di lupi contro agnelli, o meglio lupi contro lupi, la "gioia nel dare e gioia nel ricevere", "servire la vita", ecc, sono concetti completamente innovativi perchè pieni di amore verso il prossimo, che renderebbero il mondo migliore. E' davvero il modo in cui ci si dovrebbe rapportare tutti gli uni con gli altri. certo, è utopistico sperare che si diffonda a tutti gli strati della società, ma il cambiamento comincia da casa nostra, no?
Effettivamente, quando ascoltiamo i sentimenti e i bisogni degli altri, li sentiamo subito vicini a noi, simili: non ci sembrano "mostri" o tanto poi strani.

Sulle prime non sarà facile applicare (e ricordarsi di farlo, prima dell'istintiva tendenza a parlare di getto come si è sempre fatto) il modello osservazioni - sentimenti - bisogni - richieste, ma andrebbe fatto ogni volta, sia in emissione (con onestà), che in ricezione (con empatia) di ogni messaggio comunicativo: in famiglia, al lavoro, nel volontariato. L'ho già sperimentato in famiglia ed al lavoro ed ho notato come le persone con cui parlavo sembrassero sentirsi bene parlando, e come mi sentissi bene io applicando questo metodo.

La tendenza a giudicare e catalogare è così insita in noi, ma ci allontana dall'empatia e altro non è che un riflesso dei nostri bisogni che non stiamo soddisfacendo. una volta scoperto questo, la sensazione è come quella di una rivoluzione copernicana! Ed ecco che tutti dovrebbero a mio avviso provare almeno una volta a fare l'esercizio che MBR suggerisce fare una lista di "Non mi piacciono le persone che sono.." e poi leggerci a fianco quali sono i nostri bisogni da soddisfare. Utilissimo ho trovato anche l'esercizio di elencare quali sono le cose che non ci fanno sentire la nostra vita come un gioco: quelle che dobbiamo fare e ci pesano. Ecco che vedendole sotto la sua ottica, si deve provare a scrivere a fianco di ciascuna "Scelgo di.."
Anch'io, come lui prevedeva, mi sono ribellata. "Scelgo di.. lavorare..? No! Sono costretta!", mi sono detta. A fianco dovevo scrivere "perchè voglio..". E allora ho ragionato che voglio un minimo di tranquillità economica per non andare in panico in caso di imprevisti o trovarmi in una situazione di pericolo, dato che non abbiamo la "rete di sicurezza" di genitori o nonni che possano aiutarci economicamente. Quindi potrei anche non farlo, ma scelgo di farlo per amor suo, per essere tranquilla se succedesse qualcosa, mediando la sofferenza di lasciarlo da solo col fatto di farlo solo x 4 h al giorno (6 h nei 4 mesi estivi).
Ho continuato la lista e ho visto che ognuna delle cose che detestavo fare, le sceglievo in qualche maniera. Mi sono sentita meno "manipolata" dal destino, più artefice delle mie scelte.

Ho anche apprezzato molto la spegazione che le lodi non sono il giusto metodo educativo, perchè i bambini devono fare le cose perchè ci credono, perchè hanno una motivazione valida, non per avere un premio od evitare una punizione: chiedendosi sempre:
- cosa voglio che questa persona faccia?
- ma soprattutto, quali voglio che siano le ragioni alla base della sua azione?

Non realizzavo, prima di leggere questo libro, che anche i paragoni sono un tipo di giudizio o che il nostro linguaggio tende ad offuscare la consapevolezza della nostra responsabilità sulle cose, attribuendole a forze vaghe o estranee. E' pericoloso non essere consapevoli di essere responsabili di ogni nostra azione: il riferimento alla Amtsprache che facevano parlare agli ufficiali nazisti basta a convincere chiunque, direi.

Osservare senza valutare è quasi impossibile, nel modo in cui siamo stati cresciuti, ma con un po' di allenamento ci si rende consapevoli di quando lo si fa e sentire i campanellini suonare non ci rende passive vittime del meccanismo innato.

Inoltre, molti di noi tendono a schermare i propri sentimenti celandoli per un senso di autodifesa: mettendosi in gioco e "rischiando", invece, di fare il contrario, si può instaurare una vera e onesta connessione con gli altri e prendere coscienza di sentimenti e bisogni inespresi, che solo in questo modo possono liberarsi e venire soddisfatti per avvicinarci alla massima possibile serenità interiore.

E' vero, poi, che dare empatia ad un "No!" ricevuto ci protegge dal sentirlo come un affronto personale.

Dando empatia anche a noi stessi, si può trasformare il colpevolizzarsi per un errore, nel "celebrare la perdita" e questo è davvero qualcosa che voglio mettere in atto nella mia vita: prendere atto che quella così è andata così, vedere che sentimenti e che bisogni avevo in quel momento ed empatizzare con me, anzichè esser infuriata con me stessa.

Ed anche la rabbia, sentimento così frequente e facile da provare, si sbriciola comprendendo che la sua causa sta nel nostro modo di pensare, nei sentimenti di colpa e di giudizio. Se si cercano di capire i sentimenti e i bisogni degli altri, allora la rabbia praticamente sfuma. Vorrei davvero "ricordarmi" di farlo ogni volta, da ora in poi!
Ecco che dovrei ricordarmi di fronte a questo sentimento, i 4 scalini: fermarmi e respirare - individuare i miei pensieri di giudizio - collegarmi ai miei bisogni e sentimenti - esprimerli.
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Re: le parole sono finestre oppure muri

Messaggioda melidi7 » lunedì 14 dicembre 2009, 15:44

prima di tutto, vorrei farmi avanti perche tengo molto alla trasparenza: io non ho ancora letto il libro che stiamo parlando. ho letto diversi libri suoi, ho un audio di "speaking peace" e mangio almeno una volta al di un articolo dal internet (almeno fino a settembre--adesso ho molto da leggere proprio dal corso che sto facendo che è ideato dal trainer inbal kashtan e il corso è sostenuto dal trainer Ingrid Bauer, che conoscevo già da alcuni anni tramite un forum internazionale sul libro di jean leidloff "il concetto del continuum". non ho fatto un workshop, ne week end...ma mi hanno accettato comunque nel corso . non saprei se è segno del miei capactà o solo pietà :unsuren

non ho ancora letto tutte le risposte perche volevo aggiungere un pensiero prima che mi ci scappa.

elladegio scrive
Se non ho capito male lei sostiene, come per molti filosofi e pure per un certo tipo di scienza, che non esiste una osservazione oggettiva, (forse nemmeno una realtà oggettiva? Persino quella che chiamiamo "realtà" si modifica quando viene osservata, ad esempio sapevo di certi esperimenti , secondo i quali persino gli elettroni e gli atomi si comportano diversamente se c'è un osservatore!!! ).
Insomma forse, se ho capito bene, secondo lei è impossibile arrivare a una descrizione veramente e solo puramente oggettiva, anche quando pensiamo che sia oggettiva e anche quando pensiamo di togliere i giudizi dal resoconto semplice dei fatti cosi' come negli esempi fatti da Rosenberg.


non è che ci si desidera trasformare un evento in oggettività ne filosificamente parlando ne scientificamente.
il desiderio di base per me, almeno, è di raggiungere una certa qualità di connessione con sia me stessa, che con l'altro...se non riesco a creare questo tipo di connessione perche o le cose che sto dicendo (nel modo solito che uso) sta urtando in qualche modo l'altro che parlo o io mi sto parlando a me stesso in un modo che mi stimula sentimenti forti tipo frustrazione o la rabbia o anche disperazione allora se prendo un attimo per osservare le mie pensieri o le mie parole e guardare cosa è successo in modo piu o meno oggettivo, ed insieme al resto del processo cnv, posso riallacciarmi nel connessione per dialogare.
adesso rimando questo ma torno--turbina casino qua.
.....

(puo succedere molto facilmente di parlare ed essere risposti con la rabbia o agitazioni forti con i bambini dopo i 10 anni : Love : ) e allora faccio retro march proprio per ricuperare un po le cocce: è qui dove mi è MOLTO utile l'cnv (l'uso scopa e paletta: faccio un pasticcio e poi vado indietro per ricuperare con la cnv :hahaha: ) con il tempo, almeno con i miei bambini mi sta diventando piu abitudinale di camminare piu sofficemente (con un intento in allineamento con cnv...accettazione, accogliemento gioiosa, amore incondizionale...) .
non è che Rosenberg sta sostenendo che esiste un modo di dire le cose assolutamente oggettivamente. dice solo che il piu facciamo questo lavoro di staccare cio che realmente è successo di vista, di orecchio, dalla nostra varie interpretazione piu riusciremo a capire che cio che succede *a noi*, la nostra reazione emotiva, sta proprio con noi stessi e non causato da cosa ha fatto un altro.

vedete, nel caso di un bambino piccolo che morde un altro, io non mi sarebbe turbata affatto. non mi servirebbe nemmeno dire che "ha affondato i denti nell'avambraccio della bambina" per me mordere è mordere. se mordo una mela non è diverso che mordere il braccio dell'amica.

ma per un'altro, se questo evento gli fa scattare una certa irritazione, o desiderio di punizione e è conoscente del cnv, allor per lui sarebbe molto utile...perche il prossimo passo è di capire cosa prova emotivamente ognuno coinvolto: la bambina che morde, la bambina che è stata morso, io che è una delle mamme, e se ce anche l'altra mamma. Ma gia come esempio è molto complicata! comunque...poi si andrebbe avanti a vedere che bisogni potrebbe essere di base. in questo caso, non basterebbe "ha morso (o haaffondato i denti) ". Avremmo proprio bisogno di sapere cosa succedeva subito prima--perche se ha morso per rabbia o per gioia, questo sarà abbastanza ovvio da una descrizione relativamente oggettiva.

Prima di tutto la cnv sto capendo è una cosa *interna*...adesso devo scappare, ma vorrei tornare appena posso
ho gente in casa, e devo tornare da loro!
xxxmelissa
chw farà edit piu tardi in modo migliore.
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Re: le parole sono finestre oppure muri

Messaggioda Franci.uk » lunedì 14 dicembre 2009, 17:10

Non ho ancora finito il libro, anche se gli esempi che ha citato Francesca li ho letti gia'.
Finora l'ho trovato molto interessante e anche difficile da mettere in pratica. Riquoto anch'io il brano citato da Lucybike.

"I numerosi manuali che insegnano ad avviare una comunicazione libera da violenza, tra cui anche i preziosi ed intelligenti consigli di T. Gordon e M.B. Rosenberg sono certamente efficaci per le persone che, da piccole, hanno potuto mostrare senza pericolo i propri sentimenti e che vivevano accanto ad adulti che potevano servire loro da modello nel saper-essere-sè -stessi. Ma i bambini che hanno riportato gravi lesioni nella loro identità non sapranno in seguito che cosa provano e di che cosa hanno davvero bisogno. Dovranno prima impararlo in una terapia, viverlo, e poi, attraverso sempre nuove esperienze, acquisire la certezza che non stanno sbagliando. Infatti da figli di adulti immaturi sul piano emotivo o addirittura disturbati psichicamente hanno dovuto credere che i propri sentimenti e bisogni fossero sbagliati, perchè altrimenti - pensano questi bambini - i loro genitori non si sarebbero rifiutati di comunicare con loro."


Adesso, non so quanto da piccola abbia riportato gravi lesioni, pero' sicuramente ho difficolta' ad identificare le mie emozioni e i miei bisogni. Non tanto perche' da piccola non potessi esprimerli, forse solo perche' anche i miei genitori non erano capaci di farlo a loro volta e non mi hanno insegnato come chiedere che i miei bisogni venissero soddisfatti.
Percio', proprio per il mio vissuto, ho trovato Byron Katie un apporccio molto piu' vicino a me, almeno per cominciare e darmi chiarezza. Non voglio inquinare il thread, percio' forse ne apriro' uno apposito.


lettricesilenziosa ha scritto:Pero' non per avere informazioni dirette sulla realtà dell'altro ma SU ME STESSA. Posso capire come mai ho reagito così. E conscere meglio me. Ma anche mettere meglio a fuoco che cosa nel parlare o agire del'altro mi ha causato certe risonanze, e così avere anche migliori informazioni su di lui. Faccio un esempio. Un mio collega mi dice <<Quel cliente è davvero faticoso da trattare: tanto per cominciare, non è mai in orario!>>. Io posso sentirmi infastidita da questo suo "tranciare un giudizio". Ma se faccio così, non ascolto davvero lui, che invece mi sta dicendo <<Io sento fatica a trattare con quella persona>>... e magari ne è preoccupato, o teme di non riuscire a fare un buon lavoro. Allora posso faremarmi a capire cosa mi sta dicendo di se stesso, non del cliente. Nello stesso tempo posso sentire il mio fastidio e ricordare che, magari, avevo un papà molto severo sugli orari, e così mi sono identificata col cliente "criticato" Ma, una volta capito questo e "separata" la figura di mio papà e quei ricordi del "lì e allora" dal "qui ed ora", posso magari capire che il link mi è scattato anche perché ho notato un tono irritato del mio collega nel parlare di quel cliente. Allora posso, senza fare proiezioni di "cose mie", anche dire a lui: <<Ho avuto la sensazione che quel cliente ti faccia provare un po' di irritazione; ti sembra possibile che sia così? Magari anche questo sentimento puo' rendere più faticoso il lavorare con lui...>>.

Non so se ho fatto un esempio comprensibile. Comunque lo schema per un buon "feed-back fenomenologico" prevede un notare (e poi eventualmente dire): <<Mentre lo ascolto io VEDO (una certa cosa).... ASCOLTO .... PENSO.... IMMAGINO.... SENTO/PROVO.... >>, e un tenere conto che tutto questo "parte da me" e da me viene "filtrato.


Ecco, secondo me l'Inquiry di Byron Katie, facilita questo.
In questo esempio io penso alla mia reazione alla frase del capo e posso dire: mi da' fastidio come il mio capo giudichi con facilita' quel cliente.
Dopo essermi interrogata sulla veridicita' della mio pensiero e averlo davvero messo in dubbio e magari riformulato in quelle situazioni di difficile lettura, posso passare ad analizzare cosa quel pensiero ha provocato in me, da quali sensazioni e' accompagnato. E poi, l'Inquiry, con i suoi turnarounds (es. mi da' fastidio come io giudichi il mio capo con facilita', ecc.), mi permette di vedere se sono io che mi sento a disagio perche' sono facile a criticare e quale pensiero riformulato e' piu' vero di quello di partenza.
Insomma, questo per me e' un lavoro fondamentale per poter arrivare a riuscire a identificare i miei sentimenti e i miei bisogni. Credo che non riuscirei a buttarmi direttamente nella CNV senza avere questi strumenti prima.

Quindi vi leggo attenta :winkn
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Re: le parole sono finestre oppure muri

Messaggioda Ella » lunedì 14 dicembre 2009, 20:57

francesca78 ha scritto:Ellegidio è si quello che dico, anche se poi io sono convinta anche che si rischi di perdere qualcosa senza ascoltare il vissuto (che è quello che descriveva melidi nell'ultimo paragrafo) e andando all'oggettivo.


Cara Francesca, ho omesso di parlare del "vissuto" e della sua importanza, solo perchè mi interessava chiarire il punto che di fatto ho chiarito, ma non ho mai detto che non bisogna ascoltare il vissuto! Anzi a parere mio il vissuto degli altri e di se stessi, è molto importante che venga ascoltato.

Quanto a Rosenberg io finora ho letto la prima parte in cui dice di separare il vissuto e l'oggettivo ( oppure visto quanto chiarito prima chiamiamolo pure il "presunto oggettivo" ) , non mi sembra finora di aver letto che dica di non ascoltarlo il vissuto, ma vedremo quando avrò terminato la lettura!

Certamente anche secondo me capire il vissuto proprio e delgi altri è importante , da quello che ho inteso finora questo suo è solo un metodo pratico per fare proprio questo, ma ripeto capirò meglio più avanti e può darsi che questo sistema abbia bisogno pure dell'affiancamento di una cura psicoterapica in molti casi, ma non è detto che non possa essere valido, al momento ancora non lo so, quando riuscirò a finire di leggerlo vedrò...
Ella
 

Re: le parole sono finestre oppure muri

Messaggioda francesca78 » lunedì 14 dicembre 2009, 21:28

Io mi trovo molto bene in quello che dice Franci (per lo meno quello che ho capito qui perchè non ho letto il libro), forse è un modo meno sofisticato, ma io mi ci ritrovo di più (io credo che ci si possa proprio confrontare sul vissuto). Il che non vuol dire secondo me affidare all'altro la colpa del proprio sentimento, ma riconoscere che è nella relazione (carica di sentimenti, bisogni e aspettative) che nasce.
So che Rosenberg ha lo stesso fine comunque.

Ellegidio, hai ragione Rosenberg dice di ascoltare il proprio vissuto, ma la comunicazione con gli altri deve avvenire su base oggettiva. Almeno io ho capito così.
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Re: le parole sono finestre oppure muri

Messaggioda francesca78 » lunedì 14 dicembre 2009, 22:02

francesca78 ha scritto:Io mi trovo molto bene in quello che dice Franci (per lo meno quello che ho capito qui perchè non ho letto il libro)

Però non so se quello che ho capito è esattamente quello che intende lei...sono andata nel sito e sono rimasta perplessa da alcune cose, mi toccherà leggere il libro forse.
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