Osservare senza interpretare.
La mamma quando si trova a gestire un litigio alle bimbe non si aspetta che dicano "l'oggetto è caduto e si è rotto", ma una racconterà "lei me l'ha rubato", e l'altra dirà "ce lo avevo io prima" e saranno queste due cose che daranno informazioni di quanto è accaduto dentro di loro, non l'osservazione oggettiva del fatto.
In realtà non è mica così distante dalla conclusione che dici tu, ma è l'assunto di base, il modo di arrivarci che secondo me è più rispettoso di noi stessi e degli altri.
francesca78 ha scritto:Osservare senza interpretare. Dal mio punto di vista non e' realistico. Faccio un esempio. Cecilia a 10 mesi morde la sua amica. Se Cecilia avesse descritto la stessa situazione avrebbe detto "Cecilia da un bacio alla sua amica". Questo per me e' un punto centrale perche' riconoscere che gio' che si vede dipende dal punto di vista e' piu' rispettoso anche nei confronti degli altri. Il significato che noi attribuiamo alle cose e' gia' espressione di sentimenti e bisogni, quindi io mi trovo piu' sul cercare di ascoltare questi significati piuttosto che pensare che posso eliminarli.
Tu (CaterinaC..ndr) l'altro giorno parlavi di "bisogno di senso". Io credo che questo bisogno lo soddisfiamo continuamente attraverso l'interpretazione. In antropologia tempo fa si parlava di osservazione oggettiva, poi si è cominciato a parlare di "osservazione partecipata". Ora non mi ricordo più i termini esatti, ma questo è proprio il concetto che sto cercando di esprimere. Se un soggetto "esterno, in una situazione di "analisi" antropoligica concepisce la propria osservazione come "partecipata" (e che quindi riconosce il suo costruire la realtà e il suo darle significato anche attraverso l'osservazione) vale anche quando ci troviamo a vivere un conflitto un rapporto, un momento di vita con l'altro. Quando io dico di lasciare che i nostri vissuti ci parlino, io dico proprio che questi vissuti, il nostro e quello degli altri, ci raccontano quelli che sono i nostri bisogni e quelli degli altri. In realtà non è mica così distante dalla conclusione che dici tu, ma è l'assunto di base, il modo di arrivarci che secondo me è più rispettoso di noi stessi e degli altri. La mamma quando si trova a gestire un litigio alle bimbe non si aspetta che dicano "l'oggetto è caduto e si è rotto", ma una racconterà "lei me l'ha rubato", e l'altra dirà "ce lo avevo io prima" e saranno queste due cose che daranno informazioni di quanto è accaduto dentro di loro, non l'osservazione oggettiva del fatto.
vale anche quando ci troviamo a vivere un conflitto in un rapporto, un momento di vita con l'altro. Quando io dico di lasciare che i nostri vissuti ci parlino, io dico proprio che questi vissuti, il nostro e quello degli altri, ci raccontano quelli che sono i nostri bisogni e quelli degli altri. In realtà non è mica così distante dalla conclusione che dici tu, ma è l'assunto di base, il modo di arrivarci che secondo me è più rispettoso di noi stessi e degli altri.
Questo per me e' un punto centrale perche' riconoscere che gio' che si vede dipende dal punto di vista e' piu' rispettoso anche nei confronti degli altri. Il significato che noi attribuiamo alle cose e' gia' espressione di sentimenti e bisogni, quindi io mi trovo piu' sul cercare di ascoltare questi significati piuttosto che pensare che posso eliminarli.
francesca78 ha scritto:Osservare senza interpretare. Dal mio punto di vista non e' realistico.
francesca78 ha scritto:Il significato che noi attribuiamo alle cose e' gia' espressione di sentimenti e bisogni, quindi io mi trovo piu' sul cercare di ascoltare questi significati piuttosto che pensare che posso eliminarli.
"I numerosi manuali che insegnano ad avviare una comunicazione libera da violenza, tra cui anche i preziosi ed intelligenti consigli di T. Gordon e M.B. Rosenberg sono certamente efficaci per le persone che, da piccole, hanno potuto mostrare senza pericolo i propri sentimenti e che vivevano accanto ad adulti che potevano servire loro da modello nel saper-essere-sè -stessi. Ma i bambini che hanno riportato gravi lesioni nella loro identità non sapranno in seguito che cosa provano e di che cosa hanno davvero bisogno. Dovranno prima impararlo in una terapia, viverlo, e poi, attraverso sempre nuove esperienze, acquisire la certezza che non stanno sbagliando. Infatti da figli di adulti immaturi sul piano emotivo o addirittura disturbati psichicamente hanno dovuto credere che i propri sentimenti e bisogni fossero sbagliati, perchè altrimenti - pensano questi bambini - i loro genitori non si sarebbero rifiutati di comunicare con loro."
melidi7 ha scritto:se ho capito bene,
per te è importante che venga riconosciuto i punti di vista altrui ("riconoscere che ciò che si vede dipende dal punto di vista") perche faccendo così risulta "più rispettoso anche nei confronti degli altri" ...forse per te è importante far chiarezza ma anche tenere in considerazione degli sentimenti e bisogni altrui?
melidi7 ha scritto:Traggo da questa paragrafo che per te è attraverso l'interpretazione personale che si trae chiarezza su una sitazione, e così riesci piu facilmente arrivare ai sentimenti e bisogni degli altri; inoltre colgo da qui che la ragione che trovi difficile e poco praticabile osservare senza interpretare o analizzare (avevi scritto nel primo post che un osservazione senza interpretazione "non è realistico") ti arriva dal concetto dell'analisi antropologica dove l'osservazione dell'antropologo non è mai oggettiva perche filtra attraverso le sue osservazione la sua stessa vissuto che è condizionato (perche appreso inconsciamente) dalla sua cultura d'origine (avevi scritto: "riconosce il suo costruire la realtà e il suo darle significato anche attraverso l'osservazione").
melidi7 ha scritto:colgo proprio dalle tue preoccupazione contro l'uso di una descrizione oggettivo senza interpretazione o giudizi le stesse ragioni che la comunicazione non violenta come proposta da Marsall B. Rosenberg (http://www.cnvc.org) lo sostiene come parte basilare di una degli strategie (cioè la forma formale dello scambio cnv del osservazione, emozione, bisogno, richiesta: con noi stessi, con gli altri) più potenti ed efficaci (ma non facili, eh!) che possiamo usare per avere rapporti basata sulla connessione, compassione e fiducia quale io vorrei avere con il mio compagno di vita e i miei figli e che suppongo tutti noi vorremmo avere con i nostri cari.
melidi7 ha scritto:non è che noi dobbiamo eliminare dal nostro pensare lo giudizio, lo analizi. Anzi. è solo recentemente che ho scoperto quanto è importante ascolatare queste parole che appaiono sia in testa, che sentiamo da altri, o aime, alle volte escono dalla mia bocca prima che posso frenarli. Proprio come dici, sono chiare indicazioni dei bisogni e emozioni che "sono vivi in noi" e non vanno ignorati ma ascoltati e tradotti. Non è utile usare parole che possono essere interpretate in modi diversi da persone diverse. Perche se io dico "la mia bambina è maleducata" io magari intendo che parla mentre parlo anch'io, mio marito magari capisce che risponde a una sua "richiesta-non richiesta" dicendo "No!", e la maestra del paese forse crede che vuol dire che dice le "parolacce"...e cosi via. invece si io dico la mia bambina parla mentre parlo io, non ho giudicato almeno verbalmente e se riesco a connettere con me stessa, e cercare cosa sento quando quello succede e cosa ho bisogno (mi sento frustrata perche ho bisogno di esprimermi senza interuzzioni perche perdo il filo troppo facilmente ecc ecc) allora posso ri centrarmi, respirare e rispondere alla mia figlia senza arrabbiarmi piu (io non ho questo problema, è ipotetico--figurati in una casa di 9 dove tutti vogliono parlare mi sempre!)
Alla base c'è scava scava un assunto fondamentale ed è questo: io credo che in quanto essere vivente ciò che mi lega agli altri viventi sia la compassione che è sia 'mettersi nei panni di' ma anche il non voler fare male agli altri. In questo, è molto vicino alle filosofie orientali: all'ahimsa delle upanishad - beh.. Gandhi era indiano, non a caso.
Se non si crede a questo assunto non c'è niente da fare Rosenberg si "smonta", eccome. Lo so bene perché l'ho sperimentato di persona. Per questo mi ha molto colpito il brano di Miller che ha citato Lucybike:
"I numerosi manuali che insegnano ad avviare una comunicazione libera da violenza, tra cui anche i preziosi ed intelligenti consigli di T. Gordon e M.B. Rosenberg sono certamente efficaci per le persone che, da piccole, hanno potuto mostrare senza pericolo i propri sentimenti e che vivevano accanto ad adulti che potevano servire loro da modello nel saper-essere-sè -stessi. Ma i bambini che hanno riportato gravi lesioni nella loro identità non sapranno in seguito che cosa provano e di che cosa hanno davvero bisogno. Dovranno prima impararlo in una terapia, viverlo, e poi, attraverso sempre nuove esperienze, acquisire la certezza che non stanno sbagliando. Infatti da figli di adulti immaturi sul piano emotivo o addirittura disturbati psichicamente hanno dovuto credere che i propri sentimenti e bisogni fossero sbagliati, perchè altrimenti - pensano questi bambini - i loro genitori non si sarebbero rifiutati di comunicare con loro."
Perché mi dovrei connettere? Non credo che la compassione sia il sentimento di base che mi debba caratterizzare. Esprimere i miei bisogni mi mette a rischio, mi mette in una posizione di *minore* rispetto al mio interlocutore. Perché devo cedere se posso aver ragione, se *so* di aver ragione? sono frasi che dicono molto di noi e della nostra storia personale, secondo me.
Certo, comunicare in maniera nonviolenta non vuol dire né che farò di me una persona felice e variopinta che ottiene sempre quello che vuole ossia che farò fare agli altri quello che vorrei rientrando in quello schema maggiore-minore che fa tanti danni nella comunicazione.
però io non capisco la necessità dell'azione che ti ho sottolineato.Penso alla mia bimba. Lei quando mi parla mi parla con la convinzione che quello che mi dice è la realtà raccontandomi magari una "balla" colossale (non per prendermi in giro ovviamente), e io se le dicessi che non è vero, o se dovessi dirle di "correggere" quello che dice in qualcosa di oggettivo" la irrigidirei.
Nels Anderson, esponente atipico della Scuola di Chicago è promotore del metodo che inseguito diverrà il pilastro della corrente di Chicago: l'osservazione partecipante.
Nonostante Burgess introduca i lavori di Anderson, in particolare The Hobo, tra i "documenti umani" e "studi di comunità" ritengo che sia corretto definirlo promotore perché propone una variante atipica dell'osservazione partecipante. A differenza dell'osservatore partecipante, che si spoglia dei suoi abiti di ricercatore per infilarsi nel tessuto urbano che egli vuole analizzare, cercando di immedesimarsi il più possibile, Anderson fa l'inverso si spoglia dei suoi abiti di immigrato per immedesimarsi in quello di studioso di problemi sociali e per raccontare la sua vita con occhi non solo di studioso ma anche dalla prospettiva di colui che ha sofferto veramente degli effetti della povertà.
francesca78 ha scritto:melidi7 ha scritto:non è che noi dobbiamo eliminare dal nostro pensare lo giudizio, lo analizi. Anzi. è solo recentemente che ho scoperto quanto è importante ascolatare queste parole che appaiono sia in testa, che sentiamo da altri, o aime, alle volte escono dalla mia bocca prima che posso frenarli. Proprio come dici, sono chiare indicazioni dei bisogni e emozioni che "sono vivi in noi" e non vanno ignorati ma ascoltati e tradotti. Non è utile usare parole che possono essere interpretate in modi diversi da persone diverse. Perche se io dico "la mia bambina è maleducata" io magari intendo che parla mentre parlo anch'io, mio marito magari capisce che risponde a una sua "richiesta-non richiesta" dicendo "No!", e la maestra del paese forse crede che vuol dire che dice le "parolacce"...e cosi via. invece si io dico la mia bambina parla mentre parlo io, non ho giudicato almeno verbalmente e se riesco a connettere con me stessa, e cercare cosa sento quando quello succede e cosa ho bisogno (mi sento frustrata perche ho bisogno di esprimermi senza interuzzioni perche perdo il filo troppo facilmente ecc ecc) allora posso ri centrarmi, respirare e rispondere alla mia figlia senza arrabbiarmi piu (io non ho questo problema, è ipotetico--figurati in una casa di 9 dove tutti vogliono parlare mi sempre!)
Qui c'è il punto di contatto tra il mio modo di vedere le cose e il vostro, io vorrei imparare a fare questo passaggio mentale prima nella mia testa (direttamente vissuto che esprimo attraverso i bisogni), ma credo che l'esprimere il vissuto con la disponibilità di ascoltarlo e tradurlo in bisogni sia già molto (cosa che ovviamente non sempre riesco a fare).
Se non ho capito male lei sostiene, come per molti filosofi e pure per un certo tipo di scienza, che non esiste una osservazione oggettiva, (forse nemmeno una realtà oggettiva? Persino quella che chiamiamo "realtà" si modifica quando viene osservata, ad esempio sapevo di certi esperimenti , secondo i quali persino gli elettroni e gli atomi si comportano diversamente se c'è un osservatore!!! ).
Insomma forse, se ho capito bene, secondo lei è impossibile arrivare a una descrizione veramente e solo puramente oggettiva, anche quando pensiamo che sia oggettiva e anche quando pensiamo di togliere i giudizi dal resoconto semplice dei fatti cosi' come negli esempi fatti da Rosenberg.
"I numerosi manuali che insegnano ad avviare una comunicazione libera da violenza, tra cui anche i preziosi ed intelligenti consigli di T. Gordon e M.B. Rosenberg sono certamente efficaci per le persone che, da piccole, hanno potuto mostrare senza pericolo i propri sentimenti e che vivevano accanto ad adulti che potevano servire loro da modello nel saper-essere-sè -stessi. Ma i bambini che hanno riportato gravi lesioni nella loro identità non sapranno in seguito che cosa provano e di che cosa hanno davvero bisogno. Dovranno prima impararlo in una terapia, viverlo, e poi, attraverso sempre nuove esperienze, acquisire la certezza che non stanno sbagliando. Infatti da figli di adulti immaturi sul piano emotivo o addirittura disturbati psichicamente hanno dovuto credere che i propri sentimenti e bisogni fossero sbagliati, perchè altrimenti - pensano questi bambini - i loro genitori non si sarebbero rifiutati di comunicare con loro."
lettricesilenziosa ha scritto:Pero' non per avere informazioni dirette sulla realtà dell'altro ma SU ME STESSA. Posso capire come mai ho reagito così. E conscere meglio me. Ma anche mettere meglio a fuoco che cosa nel parlare o agire del'altro mi ha causato certe risonanze, e così avere anche migliori informazioni su di lui. Faccio un esempio. Un mio collega mi dice <<Quel cliente è davvero faticoso da trattare: tanto per cominciare, non è mai in orario!>>. Io posso sentirmi infastidita da questo suo "tranciare un giudizio". Ma se faccio così, non ascolto davvero lui, che invece mi sta dicendo <<Io sento fatica a trattare con quella persona>>... e magari ne è preoccupato, o teme di non riuscire a fare un buon lavoro. Allora posso faremarmi a capire cosa mi sta dicendo di se stesso, non del cliente. Nello stesso tempo posso sentire il mio fastidio e ricordare che, magari, avevo un papà molto severo sugli orari, e così mi sono identificata col cliente "criticato" Ma, una volta capito questo e "separata" la figura di mio papà e quei ricordi del "lì e allora" dal "qui ed ora", posso magari capire che il link mi è scattato anche perché ho notato un tono irritato del mio collega nel parlare di quel cliente. Allora posso, senza fare proiezioni di "cose mie", anche dire a lui: <<Ho avuto la sensazione che quel cliente ti faccia provare un po' di irritazione; ti sembra possibile che sia così? Magari anche questo sentimento puo' rendere più faticoso il lavorare con lui...>>.
Non so se ho fatto un esempio comprensibile. Comunque lo schema per un buon "feed-back fenomenologico" prevede un notare (e poi eventualmente dire): <<Mentre lo ascolto io VEDO (una certa cosa).... ASCOLTO .... PENSO.... IMMAGINO.... SENTO/PROVO.... >>, e un tenere conto che tutto questo "parte da me" e da me viene "filtrato.
francesca78 ha scritto:Ellegidio è si quello che dico, anche se poi io sono convinta anche che si rischi di perdere qualcosa senza ascoltare il vissuto (che è quello che descriveva melidi nell'ultimo paragrafo) e andando all'oggettivo.
francesca78 ha scritto:Io mi trovo molto bene in quello che dice Franci (per lo meno quello che ho capito qui perchè non ho letto il libro)
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